Uno dei pezzi più pregiati della collezione del British Museum è un simbolo della disciplina archeologica che ognuno di noi ha incontrato nelle prime pagine dei libri di storia, fin dalle scuole elementari: la Stele di Rosetta.
Dal 3500 a.C e fino al 400 d.C era in uso in Egitto la scrittura geroglifica, ma non era l’unica. Il geroglifico era principalmente usato per testi sacri (iscrizioni tombali, ad esempio), ma per gli affari di tutti i giorni si usava la lingua domotica o, più tardi, il greco.
I geroglifici sono stati interpretati nel 1822 dal famoso Champollion proprio grazie alla Stele di Rosetta che riporta uno stesso testo scritto in geroglifico, in demotico, nato dalla scrittura ieratica, e in greco. Il testo è parte di un decreto Tolemaico del 196 a.C. in onore del faraone Tolomeo V Epifane.
Il ritrovamento della stele non fu proprio uno scavo archeologico, quanto uno dei tanti atti di appropriazione dell’esercito Napoleonico, che nel 1799 arrivarono nel Delta del Nilo e saccheggiarono il villaggio di Rashid (Rosetta). La pietra (oltre 700 kg di basalto, alta 114 cm e larga 72 cm) si trovava lì dal quindicesimo secolo dC, incastonata nelle mura di una fortezza. Infatti, l’avvento del Cristianesimo aveva visto l’abbattimento di molti templi egizi e le sue pietre riutilizzate in nuove costruzioni. Così fu per la stele, acquisita dall’ Inghilterra nel 1801 grazie al Trattato di Alessandria. L’anno successivo era già al British Museum che ne spedì copie a studiosi di tutto il mondo. E Champollion capì che il geroglifico era composto da immagini di suoni che, sommate, davano un ultimo segno, in rappresentanza della parola rappresentata.
La teca che la conserva è in una delle sale più visitate del British Museum e di fatto introduce alla ricca parte egizia, seguita poi da quella assira. Da vedere!