Non siamo tipi da mercatini e così a Trento ci siamo stati in questi giorni che precedono le feste invernali, ma non per visitare i mercatini, bensì per ammirare il nuovo Museo delle Scienze MUSE, attratti dall’esposizione di molti reperti recuperati al Riparo Gaban.
Si accede all’esposizione dedicata alla preistoria tramite una struttura a spirale che ammettono a dei pannelli che illustrano le principali fasi dell’evoluzione culturale, economica e sociale nella preistoria delle Alpi. Come cita la cartella stampa “si può ripercorrere la presenza dell’uomo di Neanderthal sui massicci alpini meridionali risparmiati dai ghiacciai nel Paleolitico medio, l’arrivo di Homo sapiens al termine delle grandi glaciazioni nel Paleolitico superiore e la sua diffusione all’interno delle vallate alpine nel Mesolitico. Si giungerà infine al Neolitico con l’introduzione di agricoltura ed allevamento e la grande innovazione tecnologica della lavorazione dei metalli nella protostoria”.
Il MUSE è studiato secondo modelli anglosassoni, con un impostazione che tende a coinvolgere il visitatore di ogni età, con “pezzi” di grande impatto visivo per attirare l’attenzione dei più piccoli e informazioni scientifiche in forma tecnologicamente accattivante per i “geek” contemporanei, ma senza mai abbandonare la rigorosità scientifica di un’ottima divulgazione.
Ecco allora, che dopo essere stati attratti dalle ricostruzioni di homo esposte a grandezza naturale (sembrano esseri umani vivi!) sbirciamo nelle vetrine e possiamo ammirare gli straordinari reperti recuperati dagli scavi archeologici al Riparo Gaban, situato in provincia di Trento (località Piazzina di Martignano), in una valletta pensile che corre parallela al fianco sinistro della Valle dell’Adige, a circa 80 m dal fondovalle. Alto 10 metri, profondo 6 e lungo circa 60 metri, il riparo si sviluppa nel rosso ammonitico veronese e gli scavi (dal primo nel 1970 fino a quello del 1985) hanno documentato una frequentazione dal Mesolitico al Bronzo. Al momento si sta scavando l’area attualmente a ridosso del riparo (una superficie di circa 60 mq) divisa in 5 settori (I-V). La serie stratigrafica inizia a –1.40 m dall’attuale piano di campagna e si sviluppa fino a –6 m. La sua sequenza è in parte ancora oggi leggibile nel settore IV. Procedendo dal basso verso l’alto essa può essere descritta nel modo seguente:
-depositi mesolitici sauveterriani e depositi mesolitici castelnoviani, accompagnati da oggetti d’arte mobiliare geometrici, zoomorfi e antropomorfi;
-depositi del Primo Neolitico con la presenza della prima ceramica del gruppo Gaban, accompagnati da oggetti d’arte mobiliare; tracce del Neolitico Medio iniziale della fase della Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata;
-depositi dell’Età del Rame;
-depositi della fine dell’Età del Rame-inizio Età del Bronzo Antico;
-depositi dell’Età del Bronzo Antico;
-depositi dell’Età del Bronzo Antico, aspetti finali;
depositi dell’Età del Bronzo Medio.
Eccezionali gli oggetti d’arte provenienti rispettivamente dai livelli mesolitici e neolitici che appartengono alla complessa sfera rituale e spirituale dell’uomo preistorico e che, allo stato attuale delle ricerche, non hanno riscontro nei pochi ritrovamenti di arte mobiliare di età mesolitica nell’arco alpino meridionale. Parte dei ritrovamenti si trovano in depositi all’interno di strutture (“buche”) contenenti industrie sauveterriane e castelnoviane, rimaneggiate già in età mesolitica. Le raffigurazioni sono tutte incise su osso e terminazione di corno di cervo. A parte la figuretta antropomorfa a tutto tondo su corno di cervo, prevalgono le rappresentazioni lineari con sintassi geometriche organizzate. Sono presenti anche semplici figure lineari ed a segmento. Strabiliante la figura femminile realizzata in bassorilievo su corno di cervo, ma notevoli anche i manufatti in osso incisi o i corredi neolitici come la piccola figura femminile stilizzata su placca ossea o quella ottenuta su un molare di cinghiale, fino all’ omero di cinghiale decorato con motivi geometrici, una raffigurazione di pesce su placchetta ossea, un frammento di femore umano che reca incisi motivi geometrici, un volto umano ed infine un ciottolo antropomorfo con decorazione antropomorfa.
Nell’immagine concessa ad Arkeomount.com dal MUSE ammiriamo una Venere del neolitico.
Figuretta femminile con abbozzo delle braccia a gruccia su placca ossea desinente a punta. È decorata su entrambe le facce. La testa è ben distinguibile ed è separata dal corpo da un collo assottigliato. Il volto è delimitato da un ovale parzialmente in basso rilievo con piccoli occhi puntiformi e bocca a doppio ovale inciso. Nella parte posteriore sono raffigurati capelli sciolti mediante incisioni verticali. La base del collo è sottolineata da una collana con un pendente a semiluna, ottenuta con profonda incisione. Le braccia sono a gruccia, i seni non plastici sono messi in risalto da due profonde incisioni a U che li separano dalle braccia e ne segnano il contorno inferiore e da un abbassamento del corpo fino all’altezza della vita. Al di sotto corre una fascia arcuata campita da otto lineette incise interpretabili come decorazione di una cintura. Nella parte centrale è rappresentata la vulva sormontata da una figura incisa a spina di pesce (linea verticale centrale con ai lati rispettivamente quattro linee oblique: è l’albero della vita?). Segue una fascia campita a reticolo sottolineata da due profonde tacche incise ad andamento orizzontale interrotte ai lati. Uno spesso strato di ocra rossa steso su una base calcarea ricopre la faccia inferiore a eccezione dei capelli e di tutta la parte basale della faccia anteriore fino alla cintura.
Responsabile scientifico dell’esposizione è la dott.ssa Annaluisa Pedrotti dell’Università di Trento che stiamo cercando di contattare per avere da lei qualche dettaglio in più.
Nel 2014 speriamo di potervi dare maggiori ragguagli sullo stato dell’arte degli studi al Riparo Gaban.