Parte della collezione di Altamira in Googleproject

Altamira Cave - immagine tratta da lussoecase.com

Il Museo Nazionale e l’annesso Centro di Ricerca della Grotta di Altamira (Spagna) ha pubblicato tramite GoogleProject alcuni reperti della collezione museale online. A questo link è possibile apprezzare in alta definizione importanti reperti rinvenuti all’interno della grotta, famosa per i dipinti parietali e in grotte circostanti (El Morín, El Juyo e El Rascaño) che con Altamira sono riconosciute Sito Unesco dal 1985.
Lunga oltre 270 metri, la grotta custodisce rappresentazioni di bisonti, cavalli, cervi, e segni dipinti a mano o incisi nel corso dei millenni, tra 35.000 e 13.000 anni fa. E’ stata la prima grotta nella quale siano stati rinvenuti dipinti policromi del Paleolitico (fu scoperta nel 1879 da Maria Sanz, di 9 anni, che si trovava in escursione con  il padre Marcellino Sanz de Sautola, archeologo dilettante), oltre a incisioni e disegni.
Tra i reperti attualmente analizzabili online, con tanto di scheda descrittiva e possibilità di ingrandimenti in alta definizione, ci piace segnalare un osso inciso datato 40.000 anni fa e rinvenuto nella grotta di El Rascaño indicato come “adorno personal” e le cui tacche incise tanto fanno pensare ad una registrazione del tempo.

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Nuove scoperte italiane a Creta

 

Immagina tratta da www.losviajeros.com

Il 15 marzo è stata annunciata dall’ANSAmed una conferenza stampa della Scuola Archeologica Italiana di Atene nella quale la dott.ssa Simona Todaro (Università di Catania) avrebbe svelato nuove evidenze dagli scavi delle città di Festo e Aghia Triada a Creta.
Come riporta l’ANSA durante la conferenza dal titolo “Festo e Agia Triada: la dimensione domestica, rituale e funeraria”, l’archeologa italiana avrebbe illustrato i risultati degli studi condotti sulle due città che sorgevano nella parte occidentale della pianura di Messara, il tavoliere più grande e fertile dell’isola di Creta, da sempre ritenute complementari tra loro. La conferenza si inserisce nell’ambito di una serie di seminari sull’Archeologia Minoica (Minoan Seminars) organizzati presso la prestigiosissima sede dell’Archaeologikì Eteria (The Greek Archaeological Service) dagli  archeologi Efi Sapouna- Sakellaraki, Lefteris Platonas, Giannis Papadatos e Colin MacDonald, che è stato curator per molti anni, del museo stratigrafico di Knossos (Creta) per conto della British School in Athens. Purtroppo però negli ultimi quattro giorni nulla é apparso sul web sui contenuti di questa conferenza.
Abbiamo perciò provato a contattare la dott.ssa Todaro e speriamo di potervi ragguagliare presto sui contenuti della conferenza. Nell’attesa vi rimandiamo alla lettura dell’articolo da noi pubblicato a marzo 2011 sulla rivista “Montagne360°” a seguito di una nostra visita sull’isola greca e nel quale abbiamo approfondito una ricerca italiana in atto sulle pendici occidentali del monte Psiloritis. L’articolo è nella sezione “I NOSTRI ARTICOLI” del blog e raggiungibile da questo link.
In quell’occasione abbiamo anche avuto l’onore di conoscere e intervistare il prof. Vincenzo La Rosa, docente di Archeologia e Antichità Egee all’Università di Catania, da trent’anni protagonista dell’archeologia cretese e sotto la cui direzione sono state effettuate tre campagne di scavo a Festo, nel 1994, nel 2000 e nel 2001.

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L’età del bronzo sbuca dalla stazione di London Bridge

Ancora Londra! Mentre eravamo in capitale per il progetto 2012 di Arkeomount, diversi ritrovamenti archeologici erano allo studio in città: soprattutto sepolture ritrovate nei cantieri (sempre all’opera verso il futuro). Oggi ci giunge notizia da Londra che nei lavori di restauro della stazione metropolitana di London Bridge, in pieno cuore cittadino e a due passi da quello che era il centro di Londinium, il cuore romano della capitale, sono spuntate nuove evidenze databili all’Età del Bronzo.
Chris Place, uno degli studiosi impegnati nella datazione dei reperti, riferisce che l’uso della datazione radiocarbonica sta confermando l’età dei reperti, che vanno dal periodo antico fino a quello medievale, passando per quello Romano. Pare in particolare che siano stati dissotterrati “sostanziali” parti di muratura di quello che doveva essere il lato più orientale della zona occupata dai Romani. Si stanno ora studiando delle aree risalenti al medioevo per comprendere come si sia evoluta la zona. News originale a questo link.

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Ötzi – Una App per bambini

Un frame della presentazione YouTube della nuova APP di Oetzi

Il Museo Archeologico dell’Alto Adige lancia una applicazione digitale dedicata a bambini dai 7 ai 10 anni in grado di presentare in maniera ludica le più recenti scoperte scientifiche inerenti sull’uomo venuto dal ghiaccio.
La App, disponibile per ora solo su iPhone e iPad, fornisce spiegazioni sullo straordinario equipaggiamento e sui tatuaggi di Ötzi, permettendone una analisi ravvicinata. Grazie a testi semplici e avvincenti, l’applicazione stimola i bambini ad approfondire l’argomento, mentre illustrazioni realizzate ad hoc, elementi interattivi e suoni la completano facendone una preziosa esperienza didattica a 360°.
La app su Ötzi esiste in tre lingue (italiano, inglese, tedesco) e può essere scaricata dall’App Store al
costo di lancio di 1,79 euro. Questo video su YouTube presenta l’applicazione: https://www.youtube.com/user/larixpress

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Scoperto un Tempio del Pre Ceramico vecchio di 5mila anni vicino Lima

Foto del Ministero di Cultura Peruviano

Ci giunge da oltre oceano una notizia che ribattiamo immediatamente: archeologi peruviani hanno scoperto vicino Lima un tempio che potrebbe risultare essere il più antico delle Americhe.
L’edificio di pietra rettangolare è ubicato nel sito archeologico di El Paraiso a nord della capitale e potrebbe risalire al 3.000 a.C. secondo quanto rilasciato in una e-mail al giornalista Alex Emery da Raffaello Varon, del Ministero di Cultura peruviano. Il tempio è parte di un complesso di 10 edifici, ritrovati nel  1965.
L’edificio copre un’area di 48 metri quadrati , era intonacato con un strato di fango e decorato con vernice rossa. “Potrebbe essere vecchio quanto Caral, sito scoperto nel 2001 e datato proprio a 5mila anni fa, ha detto l’archeologo Jose Hudtwalcker  dell’istituto Riva y Aguero di Lima. Sarebbe dunque più antico di Stonehenge  e delle Piramidi di Giza.
Hudtwalcker, autore di pubblicazioni sulle civiltà peruviane e litoranee, ha precisato al giornalista americano che “Questo tempio  databile al Periodo pre-ceramico, quando le civiltà vivevano di pesca e a agricoltura di base. La datazione al Carbonio ci darà maggiori risposte ma non sorprenderebbe se fosse  vecchio almeno come Caral.” Gli operatori hanno scoperto un focolare nel centro della costruzione, soprannominato poi come  “Tempio del Fuoco”, che potrebbe essere stato usato per offerte sacrificali di molluschi e prodotti agricoli, sostiene Marco Guillén che ha guidato la squadra di archeologi che hanno fatto la scoperta. “Il fuoco era la parte principale dei loro rituali –dice Guillen – e usavano fumo per comunicare coi loro dei. El Paraiso offrirà nuove scoperte perchp abbiamo esplorato solo l’un percento dell’area”!

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Ecco la verità sulla “camera segreta” di Machu Picchu

Come promesso abbiamo cercato di capire cosa stia accadendo a Machu Picchu sulla scia della notizia ribattuta a livello mondiale, e giunta anche su qualche media in lingua italiana, che vi sia una “camera segreta” ritrovata nella cittadella Inca. Queste notizie davano molti particolari su quanto sarebbe sotterrato nella zona delle ricerche e anche che tali ricerche erano al momento bloccate dal Ministero di Cultura.
Ringraziamo dunque il Direttore del Parco Archeologico di Machu Picchu, Prof. Fernando Astete, da noi intervistato nel 2011 a Cusco prima della visita alla cittadella, che ha gentilmente risposto alla nostra richiesta di chiarimenti. Abbiamo anche provato a contattare l’ONG Inkari, protagonista (a suo modo) della vicenda in qualità di capo fila nelle ricerche con georadar del 2011 e ora in qualità di realtà firmataria di un nuovo progetto di scavo e investigazione archeologica. Purtroppo, ad oggi, nessuno dei referenti di Inkari ONG ci ha risposto, pertanto scriviamo questa news senza poter avere dalla ONG stessa un parere in merito.
Grazie ai documenti che il Prof Astete ci ha inviato siamo in grado di riassumere la vicenda e – ci auguriamo – dare una corretta informazione sul caso. I documenti in nostro possesso sono una dichiarazione ufficiale alla stampa del Consiglio Direttivo del Comitato Peruviano dell’ICOMOS (International Council on Monuments and Sites, il cui operato consiste nell’offrire consulenza all’UNESCO per la conservazione e la protezione dei luoghi considerati patrimonio culturale nel mondo) e una relazione scritta in risposta alle recenti news internazionali firmata dall’Arch. Piedad Champi Monterroso, archeologa in carica a Machu Picchu e che abbiamo avuto il piacere di conoscere nella nostra visita in sito nel 2011.
Nel 2011 l’ONG Inkarri, sotto la guida dell’archeologo francese Thierry Jamin, ha compiuto una ricognizione con georadar di Machu Picchu, individuando una possibile camera sepolcrale nel settore urbano (Recinto 02, Settore II, Sub Settore E, unità 03). A seguito di tale prospezione, la ONG con sede a Cusco ha presentato al Ministero di Cultura di Cusco un progetto di scavo che è stato firmato dal Direttore Regionale di Cultura di Cusco, Antrop. David Ugarte. In seguito il progetto è stato respinto per diverse mancanze e assenza di requisiti (li vedremo più avanti). A questo punto la ONG Inkarri ha fatto appello a questo rifiuto e, prima che vi fosse una nuova posizione ufficiale a riguardo, ha iniziato una campagna stampa nella quale i termini della vicenda sono stati “esasperati” con particolari non verificabili (che già abbiamo segnalato come tali nel precedente post della scorsa settimana) in grado di far presa sull’immaginazione del lettore. Alcuni giornali, tra i quali anche il quotidiano El Comercio (molto letto), hanno dato pubblicazione del dispaccio stampa dell’ONG Inkarri e così nel mondo si è diffusa una vicenda secondo la quale il Ministero di Cultura peruviana impedirebbe il ritrovamento niente-di-meno-che della mummia di Pachacutec Inca (!) nonché dell’oro e dell’argento che ricoprirebbero le stanze della sua sepoltura.
Vediamo dunque come i documenti a noi giunti aiutino ad inquadrare meglio la questione.
Per cominciare riportiamo di seguito alcuni stralci della dichiarazione dell’archeologa Champi Monterroso, che segue la cittadella di Machu Picchu per conto del Ministero di Cultura Peruviano, con la quale la scienziata peruviana da un lato chiarisce le motivazioni per cui il progetto Inkarri é stato bocciato, dall’altro precisa i termini dell’attuale stato delle ricerche (distinguendo informazioni probabili da invenzioni mediatiche). Precisiamo che il testo che segue è stato da noi tradotto e ci scusiamo con l’autrice per eventuali errori di interpretazione (non di sostanza, in ogni caso):

Si è venuto diffondendo in mezzi scritti, televisivi a livello nazionale ed internazionale della supposta identificazione dell’esistenza di un mausoleo Inka in Machupicchu con grandi quantità di oro ed argento che inizialmente sarebbe stato attribuito alla tomba dell’Inka Pachakuteq e che per strategia, è stato poi cambiato con una versione secondo la quale corrisponderebbe ad un personaggio molto importante della cultura Inka, Panaca dell’Inka Pachacuteq.

Il Direttore del Parco Archeologico Nazionale di Machupicchu, congiuntamente con professionisti di carattere interdisciplinare (architetti) ingegneri, storiografi, e nella mia condizione di archeologa della Città Inka di Machupicchu, abbiamo respinto in maniera decisa l’approvazione del “Progetto di investigazione archeologica, con scavo, apertura del vano di accesso del Recinto 02, Settore II, Sub Settore E, unità 03, del settore Urbano della Cittadella Inka di Machupicchu, richiesto dall’investigatore ed esploratore francese Thierry Jamin, diplomato in Storia, Geografia ed Archeologia che nella sua condizione di Co Direttivo del progetto dell’ONG INKARI e la sua squadra tecnica confermano il “ritrovamento trascendentale” che cambierebbe la Storia Machupicchu.
Sono state rese note le mancanze tecniche di questo progetto (…)  In detto progetto si descrivono criteri metodologici e tecnici errati, che presumono l’esistenza di una vano murato in un muro di contenimento di più di 3 metri di altezza (lato est), sulla cui piattaforma superiore si trova edificato un recinto con 3 vani di accesso verso il lato ovest. Questo supposto vano di accesso condurrebbe ad un gran mausoleo (ripieno di piattaforma). Sostengono che esista una camera funeraria? Sarebbe allora necessario richiedere  un’esumazione e non solamente l’apertura di un vano, in questo senso il progetto non pare percepire l’obiettivo.
In questo momento i media riportano che è riscontrata “anche l’esistenza, dietro la porta di accesso, di una scala foderata con una placca di oro che conduce proprio al recinto principale”. Un’elucubrazione che arriva ai limiti della sua ambizione per trovare metalli, visto che dice anche che “probabilmente gli inca hanno nascosto il tesoro di Cusco in momenti di caos durante la caduta dell’incanato. Possono essere, e mi si accappona la pelle quando dico ciò, tesori portati dal Coricancha e da altri templi sacri”, dice l’archeologo francese (fonte: Diario El Comercio: Rivista Rumbos, 2013). Come professionisti siamo indignati da queste versioni tirate per i capelli, argomentate con esagerazioni e fallaci.
D’altra parte il sostegno storico ai riferimenti del mausoleo dell’Inka mancano di contestualizzazione (…) Oltre a ciò la Dra. Mariana Mould de Pease riporta che le attività del culto delle panacas reali intorno alle mummie dei governanti inca (per quelle che avevano “grandi quantità di oro e argento”), non prevedevano sepoltura.
(…)
Nell’articolo 40 del Regolamento di investigazioni archeologiche (…) si descrivono le tecniche di protezione e/o conservazione per gli scavi, l’architettura ed i materiali archeologici. Si dice che nel caso vi fossero lavori con resti umani vanno segnalate le tecniche specifiche tanto nel campo come nel laboratorio, come del suo imballaggio.
Visto che l’obiettivo principale del progetto è liberare la muratura che occulta l’accesso, la quale conduce fino alle supposte camere funerarie, oltre allo studio delle cavità localizzate durante lo studio anteriore. Non si precisa fino a dove si approfondirà la liberazione del supposto “muro” dove ora affermano che “determinarono già l’esistenza di una gran camera funeraria, con una considerabile quantità di oro ed argento, e una struttura sotterranea che alberga una decina di cavità che suppongono l’esistenza di uguale numero di sepolture, alcune di esse molto piccole che possono corrispondere a bambini.”
Quindi hanno solo l’interesse di liberare la muratura e non di procedere ad una esumazione? nella descrizione delle tecniche di protezione e/o conservazione, (gli autori del progetto, ndr) indicano solo che in caso di ritrovamento di ossa umane, queste saranno inviati al laboratorio di Antropologia Fisica della Direzione Regionale di Cultura di Cusco, per il loro studio corrispondente. Dunque, perché non segnalano in maniera specifica il registro di ossa umane, le tecniche specifiche sia sul campo sia nel laboratorio, così come il suo imballaggio? Come potremmo noi interpretare gli obiettivi di studio che vogliono raggiungere se nel progetto non è contemplata l’esumazione di un contesto funerario ?
Questa confusione teorica é dimostrata in un documento ufficiale di INKARI, “Machupicchu2012: Alla ricerca della Camera Segreta”, presentato alla Municipalità provinciale del Cusco, del quale si segnalano i seguenti estratti:
“L’utilizzo di camere endoscopiche confermano l’ipotesi secondo la quale i blocchi di pietra e quelli terrapienati disposti nell’entrata dell’edificio avevano la sola funzione di occultare un passaggio e non di sostenere le strutture dell’edificio. Gli spazi larghi e vuoti lasciano scorgere l’esistenza di un misterioso corridoio. Sembra che Thierry Jamin ed il suo gruppo non si siano sbagliati. Le risonanze sono effettive. Si tratta proprio di una porta, chiusa dagli inkas per occultare qualcosa di molto importante. Qui si nasconde probabilmente il tesoro principale di Machu Picchu. (si mostra immagine di Pachacuteq, pag. 06: Alla ricerca della Camera Segreta 2012)
(…) Thierry Jamin si prepara alla successiva tappa: l’apertura dell’entrata, coperta dagli Inca.
Tra qualche giorno, l’archeologo francese presenterà alle autorità peruviane una domanda di autorizzazione che permetterà a lui e alla sua squadra, in collaborazione stretta col Ministero di Cultura peruviano, di smantellare i blocchi di pietre e le tonnellate di terrapieni che, ad oggi, occultano l’accesso verso le camere funerarie. Sono in gioco un tesoro archeologico straordinario e nuove conoscenze sulla storia dimenticata dell’Inkanato”. (Alla ricerca della Camera Segreta 2012).
Come lavori preventivi di conservazione indicano solo che le unità previste saranno protette mediante una cintura di sicurezza confezionata con corde per evitare che questi siano alterati per l’azione umana. Si installeranno strati trasportabili di soffitto impermeabile per evitare le inclemenze naturali, vento o pioggia. Una volta conclusa la liberazione corrispondente, si metterà un piano per la conservazione delle strutture architettoniche. Queste saranno sottoposte a lavori eminentemente di conservazione, previa qualificazione. Posteriormente saranno bollate o sepolte.
Ratificano che hanno identificato con dei geo-radar (camere endoscopiche) un corridoio (delle scale?) costruite per accedere a queste cavità. Perché? Nel procedimento tecnico del progetto non specificarono la distanza, altezza e profondità delle cavità registrate, come dovrebbero asportare gli elementi litici (ripieno della piattaforma) dove sarebbero posti e come sarebbero reinseriti questi elementi, e non prevedono studi sulla capacità portante del ripieno della piattaforma, sul trattamento del piano nella sua parte superiore e se questi movimenti possano generare problemi di stabilità strutturale; solo sostengono in maniera schietta “che si inserirà un piano per la conservazione delle strutture architettoniche.” Allegramente segnalano nelle loro pubblicazioni che smantelleranno i blocchi di pietra e le tonnellate di terrapienati che, oggi, occultano l’accesso verso le camere funerarie. Pare che questa ONG ignori gli accordi internazionali di conservazione, la legislazione vigente e la categoria di Machupicchu in qualità di Sito Patrimonio Mondiale. Ugualmente chiariamo che la Città Inka fu costruito sul “caos granitico”.
Queste pretese solo riflettono e ci confermano un’altra volta l’unico interesse (del progetto, ndr) di trovare “metalli”, senza avere una conoscenza esatta sulla conservazione di un’importante struttura architettonica che fa parte di un monumento considerato Patrimonio Culturale dell’Umanità. Reiteriamo che mai hanno dimostrato e sostenuto i principi tecnici basilari del procedimento di conservazione per potere aprire questo “ipotetico vano di accesso.”
(…)

L’archeologa termina il suo scritto con una richiesta alla stampa di verificare le fonti, visto che è stata accusata da un paio di periodici di impugnare il progetto della ONG Inkarri senza avere un sostegno teorico, forse perché “difficilmente si può ribattere l’esperienza di un’autorità mondiale nel tema, come Víctor Pimentel che appartiene alla squadra di Inkari.” Nel progetto non esiste pagina alcuna dove sia menzionano il nome di Pimentel… Inoltre già un archeologo indipendente, come richiesto dalla ONG, ha valutato e bocciato il progetto che, evidentemente, presenta molte inesattezze di metodo e pare non tener affatto conto della conservazione della Città Inka in qualità di Sito UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

Passiamo ora alla nota alla stampa diramata dall’ICOMOS Perù. Riportiamo i punti salienti della comunicazione pubblica, con la quale il Consiglio ricorda che:

a) Ogni processo che si realizzi in siti archeologici peruviani deve rispondere strettamente ai criteri tecnici e scientifici vigenti, in accordo con le leggi in vigore.

b) Nel caso del Santuario Storico di Machu Picchu il principale documento tecnico ad applicare è il Piano Maestro, al quale deve attenersi rigorosamente qualunque progetto scientifico.

c) Sebbene è certo che l’utilizzo di mezzi tecnologici possono permettere determinare caratteristiche del sottosuolo, il fatto che apparentemente si sia dimostrato l’esistenza di cavità e “tra esse una camera quadrangolare” ed accessi, non è più che un indizio che deve assumersi con somma attenzione, precisione scientifica e tecnica.
Le priorità della squadra dell’ONG Inkari non sembrano compatibili con quelle che corrispondono al Ministero di Cultura, alla Direzione Regionale di Cultura del Cusco, all’Unità di Gestione di Machu Picchu ed ai professionisti che lavorano conformemente alla Legge di suddetti organi. Nei documenti editi da Inkari vi si legge che richiedono un’autorizzazione per “smantellare i blocchi di pietre e tonnellate di terrapieno che, ad oggi, occultano l’accesso verso le camere funerarie. E’ in gioco un tesoro archeologico straordinario e nuove conoscenze sulla storia dimenticata dell’Inkanato” (citato dall’articolo “Machu Picchu2012. Alla ricerca della Camera Segreta dell’ONG Inkari”). È chiaro che si tratta di “beni del patrimonio culturale” e non di “tesori straordinari.”

Nel resto del documento ICOMOS ricorda che in qualità di ente vigilante non farà mancare la propria attenzione in merito e nel punto che segue ci pare incoraggiare l’approfondimento di quanto svelato dalla prospezione geo-radar:

d) In ogni caso ICOMOS Perú confida ed esorta le istituzioni responsabili affinché, se corrispondenti alle necessità scientifiche, possa realizzarsi un programma di intervento attento a tutti i fattori, dalla preservazione del paesaggio culturale della Cittadella fino alle condizioni geologiche della zona. Tale programma dovrà prendere le misure necessarie e dovrà realizzandosi nei termini che garantiscano la continuità e sostenibilità del sito archeologico stesso. Nella misura in cui così le qualità scientifiche lo permettano, potrebbe incorporarsi al progetto personale debitamente qualificato e vincolato con gli studi previ. Ugualmente si ricorda la necessità di aderire strettamente alle norme relative al Patrimonio Mondiale che implicano una debita comunicazione all’Unesco su qualunque progetto che si intenda eseguire.

E’ chiaro dunque che:
a)    Qualcosa è stato rilevato, e per l’esattezza l’esistenza di un possibile vano artificiale nel settore urbano della cittadella;
b)    Non si conoscono altri particolari del vano (nemmeno la profondità del vano stesso, che pur in qualche news pubblicata online é stata indicata in 20 metri di profondità – ma non é un dato esistente nella relazione di progetto presentato..);
c)    Non é possibile (ovviamente!) dedurre cosa vi sia nel vano, tanto meno “oro e argento”, mummie reali, di adulti o bambini;
d)    Inkari non ha presentato un progetto accettabile, in quanto fallace sotto molti aspetti (scientifici e tecnici) che non tiene minimamente conto non solo della vulnerabilità di Machu Picchu, ma nemmeno delle più basilari conoscenze di indagine sul campo.

Rimane però importante capirne di più. E l’ICOMOS nell’ultima nota che riportiamo ci sembra della stessa opinione. Ovviamente dando attenzione alla metodologia e alla serietà.
Abbiamo anche contattato l’archeologo americano Gary Ziegler, esploratore dell’area di Machu Picchu per molti anni e autore di molti saggi sul tema, che è anche dell’idea che l’area andrebbe comunque investigata. Né i contatti di Ziegler né i nostri (limitati ma pur sempre validi) ci hanno restituito un qualsiasi report sulla ONG protagonista.
Speriamo così di aver presentato ai nostri lettori una panoramica completa dei fatti allo stato attuale (per ora crediamo di essere i primi a farlo in lingua italiana) e, come sempre, ci impegniamo per riportare eventuali nuovi sviluppi.

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Website peruviano annuncia la possibile scoperta di una camera sepolcrale a Machu Picchu

Scatto di Arkeomount con evidenziata la zona delle ricerche

Questa mattina tramite i social network abbiamo letto di una notizia di poche ore fa, diramata dal sito www.rumbosdelperu.com. Pare che le ricerche effettuate dalla Ong Instituto Inkari di Cusco, guidato dall’archeologo francese Thierry Jamin, avrebbe completato una fase di ricognizione con georadar nella cittadella di Machu Picchu, individuando una possibile camera sepolcrale a venti metri di profondità. La news online sostiene anche che la camera contiene oro e argento, oltre ad alcuni corpi umani. L’autore del pezzo azzarda persino il nome di Pachacutec Inca (motivo per cui la news sta facendo il giro del mondo!). Ci pare difficile avere così tanti particolari da una prospezione georadar (!) ma anche solo la possibilità che vi sia una struttura interrata artificiale sarebbe ben degna di nota, quando parliamo di Machu Picchu! Il progetto di ricerca dell’istituto Inkari è stato visionato il 12 dicembre 2011 dal Ministero di Cultura del Perù (praticamente negli stessi giorni in cui si concludeva il nostro Ande 2011) e approvato nel marzo dello scorso anno. In queste ore stiamo cercando di entrare in contatto con i protagonisti della vicenda per avere la possibilità di informarvi al meglio di questa vicenda.

Alleghiamo un’immagine scattata durante il reportage Ande2011 in cui evidenziamo con un circolo rosso la zona interessata dalle ricerche.

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Dall’India migrazioni in Australia 4.000 anni fa.

La curca gialla indica il nuovo flusso migratorio individuato dai genetisti

Uno studio condotto dal ricercatore Mark Stoneking del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology (Germania) proverebbe come abitanti dell’India avrebbero raggiunto le coste della Papua Nuova Guinea e dell’Australia 4.000 anni fa, mescolando il loro codice genetico a quello degli aborigeni prima della colonizzazione europea del 1700.
“La migrazione può essere avvenuta grazie allo spostamento della popolazione dall’India all’Australia – afferma il ricercatore tedesco in una intervista rilasciata all’americana ABC News– oppure in termini di materiale genetico che di contatto in contatto si è spostato tra popolazioni contigue fino al continente australiano”. Lo studio è stato condotto su circa un milione di marcatori genetici e ha comparato le variazioni nei modelli genetici  di molte popolazioni. Il gene individuato arriverebbe dall’India all’Australia  in coincidenza di variazioni nel registro archeologico. Proprio nello stesso periodo appaiono infatti tecnologie microlitiche nuove e, contemporaneamente, appare il dingo. Come conferma Irina Pugach, che ha guidato il team di ricerca tedesco.
Le analisi sulla genetica di più di 300 popolazioni tra Papua New Guinea e isole del Sud Est asiatico dimostrano che tale migrazione sarebbe avvenuta 141 generazioni fa, ovvero circa 4.230 anni fa. Il dato più interessante è che lo studio rivela per la prima volta un origine comune tra aborgine australiani, popolazioni della Nuova Guinea e i Mamanwa, un gruppo di pelle nera delle Filippine. Questi tre gruppi si sarebbero separati geneticamente 36,000 anni fa.
News originale su Zeenews India.

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Nel 774 la terra illuminata da un’esplosione di raggi cosmici

Immagine tratta da www.link2universe.net

In queste ore le agenzia di stampa internazionali stanno dando ufficialità ad una ricerca che dovrebbe interessare anche lo studio archeologico. Tra le prime testate italiane a riportare la news citiamo TMNEWS . A seguito di un anomalia nella presenza di carbonio 14 negli anelli di crescita di due cedri giapponesi corrispondenti agli anni 774-775, i ricercatori dell’università di Nagoya hanno coinvolto altri ricercatori nel mondo, inclusi i tedeschi dell’Università di Jena, in Germania, per comprenderne i motivi. Proprio sull’ultimo bollettino  mensile della Royal Society (edizione tedesca), il prof. Ralph Neuhauser di Jena sostiene che la causa sia dovuta all’emissione di un potente flusso di raggi gamma.
In pratica il picco di carbonio 14, pari a 20 volte le variazioni classiche dovute alle attività solari, dimostrerebbe come la nostra terra sarebbe stata colpita da un’eruzione di raggi gamma pari a quella che si sprigionerebbe se due buchi neri collidessero o se due stelle a neutroni si urtassero. La certezza è che sul finire dell’ottavo secolo (circa 25 anni prima che Carlo Magno andasse sul trono) un bombardamento di raggi cosmici, un “flash” di raggi gamma, avrebbe fatto illuminare il cielo della Terra per qualche secondo, emettendo di fatto un quantitativo di energia superiore a quello che il Sole può produrre in miliardi di anni di attività.
Segnaliamo questa ricerca perché anche questo è un dato di archeoastronomia che potrebbe aver influenzato il modo di fare e di vivere delle genti dell’epoca. Così come qualche decennio fa le ricerche di paleoclimatologia davano nuovi dati su cui riflettere per rileggere il nostro passato, ora l’archeoastronomia si sta imponendo come scienza di cui tener conto nelle ricerche archeologiche e storiche, non solo per allineamenti solari e stellari, ma anche –pensiamo- di eventi capaci di segnare la storia umana.

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Un petroglifo comprova che l’uomo era in Brasile 12.000 anni fa. La più antica incisione delle Americhe.

 

"The little horny man" - CREDIT: photo collection of Laboratory for Human Evolutionary Studies - University of São Paulo livescience.com

"Luzia"- immagine da livescience.com

Continuiamo a tenere monitorata la situazione delle scoperte nel campo archeologico in Sudamerica dopo il progetto Ande2011 di Arkeomount. Una datazione del 2012 ha confermato come il petroglifo ritrovato nel 2009 in una grotta a Lapa do Santo, nel Brasile Centro Orientale, risalga ad un periodo compreso tra i 9.000 e i 12.000 anni fa.
Il petroglifo si trova su una riparo roccioso in arenaria vicino a Lagoa Santa Karst e ritrae una figura umana con un fallo gigante, pertanto riferibile ad un contesto di fecondità. L’incisione è stata trovata a quattro metri di profondità in uno strato che gli archeologi hanno scavato nel 2009. La datazione é stata resa possibile grazie agli sforzi dei professori Walter A. Neves, Astolfo G. M. Araujo, Danilo V. Bernardo, Renato Kipnis e James K. Feathers dell’Università di San Paolo.
Che ha usato sia la tecnica radiocarbonica (usata su particelle organiche trovate a diretto contatto con il petroglifo) sia con la tecnica della termo-luminiscenza o OSL (Optically stimulated luminescence),  solitamente usata per le ceramiche ma applicabile anche a strati di roccia rimasti al buio per lungo tempo. La prima suggerisce un età minima di 9.370 anni calibrata a 10.700 anni, mentre la seconda riporta un periodo compreso tra gli 11.700 (± 800) e i 9.900 (± 700) anni.

La datazione del petroglifo di Lapa do Santo porta una nuova evidenza a sostegno di teorie alternative o parallele a quella di Clovis (che vuole i primi e unici americani essere Paleo-indiani  che avrebbero raggiunto l’America dopo aver passato lo stretto di Bering in una ondata recente) in quanto indica una certa variabilità culturale nel periodo Olocene/Pleistocene in Sud America: non solo reperti materiali ma anche una dimensione simbolica che ci parla da 11.000 anni.

Nel 1975 nella vicina Lapa Vermelha è stata portato alla luce lo scheletro di una paleo-indiana nominata “Luzia”, che appartiene ad una serie di 81 teschi ritrovati nella regione e studiati nel 2005 da Mark Hubbe dell’Università di San Paolo. Non solo Luzia è di circa 11.000 anni fa, ovvero ben 3.000 anni prima della presunta discesa dei Paleo Indiani Siberiani, ma le caratteristiche antropologiche di questi teschi le differenziano al punto da far pensare gli scienziati che provengano dalla Melanesia e/o dall’Australia. Avrebbero risalito le sponde pacifiche asiatiche per poi ridiscenderle dal lato americano, prima dei Clovis.

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