DIpinti rupestri del Bronzo nelle Azzorre

Mappa di Terceira

APIA Associazione Portoghese di Investigaizone Archeologica (www.apia.pt) ha dato annuncio in un recente convegno presso l’Università delle Azzorre del ritrovamento di un sito di arte rupestre nelle grotte delle Azzorre, sull’isola di Terceira. Secondo il presidente di APIA, Nuno Ribeiro, “le caratteristiche dei dipinti sono riconducibili all’età del bronzo”. Il convegno e la scoperta delle pitture si inseriscono nel dibattito di questi anni che discute se le Azzorre siano state o meno abitate dall’uomo in tempi preistorici. Negli ultimi anni team internazionali hanno evidenziato resti archeologici di strutture che, per la loro architettura e metodo di costruzione, sono molto probabilmente di origine pre-portoghese. Tra queste anche strutture megalitiche e un’epigrafe romana. Nel corso del convegno APIA ha richiesto alle istituzioni maggiore partecipazione per approfondire gli studi archeologici sull’isola.

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Molta archeologia nel VIII Convegno Nazionale di Speleologia in Cavità Artificiali

Nella splendida cornice di Ragusa Ibla, nel Teatro Donnafugata, si terrà dal 7 al 9 Settembre 2012 l’ottavo Convegno Nazionale di speleologia in cavità artificiali, a cadenza biennale, organizzato in questa occasione  dal CIRS (Centro Ibleo di Ricerche Speleo Idrogeologiche Ragusa), Federazione Speleologica Regionale Siciliana e Commissione Nazionale Cavità Artificiali SSI. L’apertura si terrà Venerdì 7 settembre presso il Teatro Donnafugata di Ragusa Ibla (Via Pietro Novelli 3)
alle 9,30 e a seguire apriranno le sessioni scientifiche, suddivise in 4 sessioni per tutti i tre giorni di convegno. Quattro le sessioni del ricco appuntamento 2012. La prima è dedicata all’”Idraulica ipogea: captazione e opere di raccolta”, la seconda porta il titolo di “Antiche miniere, archeologia industriale & problematiche di stabilità”, la terza è dedicata alle “Cavità rupestri e strutture ipogee sepolcrali”, mentre la quarta a “Rifugi antiaerei, camminamenti, rilievo e utilizzo scientifico di strutture ipogee”.
Nell’ambito dell’evento sarà allestita una sessione espositiva con poster mentre, intervallate nell’arco dei due giorni, saranno effettuate due visite guidate presso importanti strutture ipogee locali. Infine, un’escursione presso le singolari miniere di asfalto di c.da Streppenosa concluderà il 9 settembre 2012 la manifestazione.

Tra i diversi interventi segnaliamo:

Venerdì 7 settembre
Ore 10.50 – L’acquedotto d’età romana del Serino in Campania (50 a.C.; I sec. d.C.). Nuove indagini
speleologiche e ricostruzione topografica del percorso dell’ antico acquedotto nel sottosuolo della città
di Napoli. ROSARIO VARRIALE – Società Speleologica Italiana, Centro Ricerche Speleologiche di Napoli

11.10 – Gli acquedotti antichi dell’area archeologica di Akrai (Palazzolo Acreide, Siracusa)
ROSARIO RUGGIERI, LORENZO GUZZARDI, RICCARDO ORSINI, GIORGIO SAMMITO, TONINO TROVATO, FRANCESCO CRISCIONE, IOLANDA GALLETTI, ANTONELLO INGALLINERA, GIANMARCO AGOSTA, GIOVANNI GIANNINOTO & MICHELE ZOCCO. Centro Ibleo di Ricerche Speleo-idrogeologiche, Ragusa, 2Parco archeologico di Eloro e Villa del Tellaro e delle aree archeologiche di Noto e Comuni limitrofi, Siracusa

Sabato 8 settembre 2012
ore 10.50 – La Grotta Inferno: una miniera di età romana di Lapis Specularis (Cattolica Eraclea, Ag)
ROSARIO RUGGIERI, DOMENICA GULLI, RICCARDO ORSINI, D. MESSINA PANFALONE, TANO BUSCAGLIA, GIOVANNI BUSCAGLIA,ANGELO IEMMOLO & ROBERTA CASTORINA, FRANCESCO LEONE
Federazione Speleologica Regionale Siciliana,Centro Ibleo di Ricerche Speleo-Idrogeologiche, Soprintendenza BB. CC. AA. di Agrigento, Gruppo Speleologico S. Elisabetta, Gruppo Speleologico Kamicos, Speleo Club Ibleo, Gruppo Speleologico Siracusano, Centro Speleologico Etneo

3a SESSIONE – Cavità rupestri e strutture ipogee sepolcrali
Convener: Nuccia Gulli – Rosario Ruggieri
ore 11.30 – Una ricognizione tra le Catacombe e gli Ipogei del Ragusano
CLORINDA AREZZO & SAVERIO SCERRA Università Cattolica Sacro Cuore di Milano, Soprintendenza BB. CC. AA. di Ragusa
ore 12.10 – Santuari in grotta e sedi oracolari nella Sicilia sud-orientale durante l’età Greca
GIANCARLO GERMANÀ BOZZA Accademia di Belle Arti, Università degli Studi di Catania
ore 12.50 – Metodi e tecniche di scavo delle chiese rupestri dell’Italia meridionale e Cappadocia
F. DELL’AQUILA & B. POLIMENI Università degli Studi Mediterranei di Reggio Calabria

Gli atti saranno pubblicati su un numero monografico della rivista Opera Ipogea – Journal of Speleology in   Artificial Cavities come già avvenuto per i precedenti convegni di Napoli (2008) ed Urbino (2010).  Per informazioni sulla logistica, sui costi di iscrizione, sulle escursioni e sul programma basta collegarsi al sito del CIRS www.cirs-ragusa.org Gli interessati a seguire i lavori e a partecipare alle escursioni del convegno possono iscriversi all’apertura il giorno 7 settembre a partire dalle ore 8.30, presso il desk della Segreteria.
Per il programma completo
http://www.cirs-ragusa.org/blog/wp-content/uploads/Programma15.pdf

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Nuovo accampamento mesolitico in altura scoperto in Trentino, sul Monte Tremalzo

Immagine pubblicata da antikitera.net

Adnkronos ha dato notizia della scoperta ad opera di ricercatori del Museo delle Scienze di Trento di un accampamento mesolitico su monte Tremalzo, in località Pozza Lavino, a 1.770 metri di quota, in Val di Ledro. E’ una delle testimonianze umane più antiche del Trentino sud-occidentale e consente di aprire nuovi fronti di ricerca per il primo popolamento della regione e sul rapporto fra uomo e montagna nei periodi più antichi della nostra storia. L’accampamento Mesolitico e’ databile a circa 10 mila anni fa e fungeva probabilmente da campo stagionale di caccia. Grazie all’individuazione di reperti ceramici sarà possibile riconoscere una successiva fase di occupazione nel Neolitico.
Riportiamo alcuni approfondimenti apparsi sull’ultima newsletter di Antikitera.net
Nel corso del 2011 il Museo delle Palafitte di Ledro, sezione territoriale del Museo delle Scienze di Trento, ha svolto una serie di ricognizioni archeologiche nella Valle di Ledro, sotto la direzione di Gianpaolo Dalmeri, nell’ambito del progetto di ricerca “Indagine su tracce di territorio”. Il progetto, finanziato dalla Fondazione Caritro e supportato anche da Sartori Ambiente srl, ha portato all’individuazione di 15 nuovi siti archeologici di diverse epoche preistoriche. Uno di questi, Pozza Lavino (Monte Tremalzo a 1800 metri di quota) è stato oggetto quest’anno di una più approfondita indagine, che si è concretizzata in una campagna di scavi durata dal 30 luglio al 10 agosto scorso.
Lo studio dell’area e dei materiali ha confermato le ipotesi preventive effettuate dopo il rinvenimento dei primi reperti litici che indicavano una presenza mesolitica; con maggiore precisione si inquadra la prima frequentazione del sito al Mesolitico Antico (10 mila anni da oggi). Tale presenza è interpretabile, analogamente ai numerosi siti mesolitici di alta quota del Trentino orientale, come un campo stagionale di caccia. L’individuazione di reperti ceramici permette di riconoscere una successiva fase di occupazione del luogo, riferibile al Neolitico. La scoperta risulta quanto mai interessante per due principali motivazioni: la fase mesolitica testimonia una delle più antiche presenze di gruppi di cacciatori-raccoglitori nel Trentino sud-occidentale ed apre nuovi fronti di ricerca sulle vie di accesso alla regione; la frequentazione neolitica si prospetta interessante per la scarsità di evidenze archeologiche attribuibili a questa cronologia, a quote superiori ai 1000 metri. Viene di fatto retrodatata in maniera oggettiva la presenza dell’uomo in Valle di Ledro di circa 6000 anni; il tutto costituisce un nuovo tassello per la comprensione del rapporto tra uomo ed alte quote nelle epoche più antiche della nostra storia. Il contesto merita sicuramente ricerche ancora più approfondite, che verranno condotte la prossima estate, mirate a comprendere con maggior precisione l’estensione e la portata del deposito archeologico per definire meglio le attività che venivano svolte dall’uomo preistorico in entrambe le epoche. Il Museo delle Scienze, nei prossimi anni, intende investire nella ricerca e nella rete museale Ledro. “In passato per oltre due decenni la preistoria alpina, e di conseguenza quella trentina, si è fissata su un ciclo di ricerche e su modelli insediativi fissi, sono quindi davvero interessanti le ricerche che state conducendo e le novità scoperte” afferma il direttore Lanzinger.

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Scoperte le prime pitture rupestri Paleolitiche in Gallizia

Foto tratta da ElPais.com – Grotta di Tricastela

Seguendo un post su Facebook del Museo di Altamira, siamo arrivati sulla pagina di ieri del quotidiano spagnolo El Pais che annuncia la scoperta dei primi dipinti rupestri in una regione che prima non ne contava affatto, la Gallizia. I lavori di scavo archeologico presso la grotta di Eiros a Tricastela (provincia di Lugo) hanno svelato i primi dipinti e i primi graffiti rupestri del nordest spagnolo.
Le ricerche, affrontate da un team dell’Università di Santiago di Compostela e di quella di Rovira i Virgili di Tarragona (parte del progetto “Ocupaciones humanas durante el Pleistoceno en la cuenca media del Miño”), sono state presentate ieri alla stampa. La datazione delle pitture è in via di definizione (si attendono le prove al radiocarbonio), ma il coordinatore scientifico, Arturo de Lombera, ha sottolineato l’eccezionalità della scoperta proprio in quanto si tratta dei primi tratti parietali Paleolitici della Gallizia. Per trovarne di più vicine bisogna arrivare alle Asturie o scendere lungo verso il Duero.
Le pitture della grotta di Eiros sono difficilmente visibili a causa dell’acqua e dei depositi naturali che si sono formati col tempo, ma le loro caratteristiche le fanno accostare all’arte cantabrica vera e propria: linee, motivi figurativi come segmenti e teste di animali, ma anche elmenti non figurativi come segni di punti e reticoli già ammirati su altre grotte paleolitiche del Cantábrico.
Al 2008 sono cinque le campagne di scavo nella grotta e presso l’ingresso sono stati identificati e classificati diversi livelli di occupazione, a partire dal Paleolitico Medio e Superiore con una occupazione possibile tra i 35.000 e gli 85.000 anni fa. Registrati anche livelli dell’Età del Bronzo e del Medioevo.
Gli scavi quest’anno proseguiranno almeno fino al 9 settembre sotto la direzione di Ramon Fabregas e con il coordinamento di Arturo de Lombera e Xosé Pedro Rodríguez. Si spera di trovare altri reperti archeologici in grado di chiarire la datazione dei dipinti.

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Puma Punku sta svelando i suoi segreti?

Tiawanaku, scatto di arkeomount.com - 2011

E’ del 13 agosto la news lanciata dal sito scienceray.com con la quale si annuncia che un gruppo di scienziati boliviani avrebbe identificato grazie ad un GPR (ground penetrating radar, un georadar) una cavità interessante sotto il sito boliviano di Puma Punku. Stiamo parlando di uno dei siti archeologici in altura (si trova sull’altopiano boliviano a circa 4.000 metri s.l.m.) meno studiati del mondo. Lo abbiamo visitato lo scorso novembre (vedi il ns post del 28 novembre 2011) .
Subito dopo aver gironzolato per Tiawanaku, le cui pietre raggiungono il peso di 150 tonnellate. Nulla in confronto alle dimensioni della vicina Puma Punku (“la porta del puma” in lingua aymara) dove si raggiungono persino le 440 tonnellate. Le strutture sono in granito e diorite, provenienti da cave poste ad almeno 60 chilometri di distanza.
Gli archeologi boliviani guidati da Domingo Mendoza sostengono aver identificato una camera artificiale a 1,2 metri di profondità, che si sviluppa fino a 3,35 metri e la cui pianta è di 3,65x 1,5 metri. Non sono stati rilevati punti di ingresso e il team boliviano crede che lo spazio sia stato intenzionalmente scavato. Infine, pare esserci un oggetto sul fondo e il team boliviano azzarda possa essere un sarcofago. La squadra sta cercando una società di perforazione disposta a dare una mano per praticare un piccolo foro e inserire una microcamera in grado di “spiare” l’interno e rilevare l’anomalia (il “sarcofago”).
Per inquadrare al meglio la notizia riportiamo quanto appreso dal nostro reportage del 2011. La Bolivia ha da circa due anni sospeso tutti i permessi di scavo a istituzioni internazionali, bloccando anche accordi in essere. Una linea politica più che scientifica che sta portando pesanti ritardi negli scavi e soprattutto sta diminuendo le possibilità di avanzamento della ricerca stessa. Ecco, per dirla tutta, non vorremmo che questo annuncio sia stato fatto ad hoc per attirare l’attenzione del mondo sulle capacità autoctone di fare grandi scoperte anche in assenza di istituzioni straniere. Non ce ne vogliano i boliviani, ai quali riconosciamo tutte le capacità di questo mondo, ma quando un paese è attraversato da correnti politiche “forti” chi ne fa le spese per prima è spesso la ricerca, improvvisamente inutile. Oppure utile, ma a fini non propriamente di avanzamento culturale. Detto questo seguiremo con attenzione gli sviluppi.

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La cultura sudafricana dei San retrodatata a 44.000 anni fa

 

Guardando fuori dalla Border Cave. Wikimedia Commons

Una delle culture considerate moderne più interessanti al mondo, quella dei San del Sudafrica, la cui arte rupestre ha permesso studi fondamentali dell’antropologia culturale come quello condotto a partire dagli anni ’90 dal ricercatore sudafricano J. D. Lewis-Williams è stata recentemente retrodatata da 20.000 a ben 44.000 anni fa. Riportiamo integralmente la traduzione dell’articolo pubblicato online su Popular Archaeology e ripubblicato in italiano dall’Associazione Liutprand (www.liutprand.it) che ringraziamo per averci concesso il rilancio su arkeomount.com

UNA CULTURA MODERNA IN AFRICA 44000 ANNI FA
La scoperta spinge la datazione all’indietro di oltre 20000 anni.
Un team internazionale di ricercatori ha scoperto la prova materiale che indica una cultura, molto simile a quella dei moderni cacciatori-raccoglitori San dell’Africa, esisteva già ben 44 mila anni fa.

Condotto da Francesco d’Errico, direttore della ricerca presso il Centro Nazionale delle Ricerche francese, il team di scienziati includeva Lucinda Backwell e Marion Bamford dell’Università del Witwatersrand a Johannesburg, Sud Africa. Essi hanno datato e analizzato oggetti recuperati dagli strati archeologici della Border Cave, situata ai piedi delle montagne Lebombo in KwaZulu-Natal, Sud Africa, vicino al Mozambico. Il sito ha fornito materiale organico eccezionalmente ben conservato, il che lo rende eccezionale per l’applicazione di una varietà di tecniche di datazione.
“La datazione e l’analisi di materiale archeologico scoperto alla Border Cave in Sud Africa ci ha permesso di dimostrare che molti elementi della cultura materiale, che caratterizzano lo stile di vita dei cacciatori-raccoglitori San in Sud Africa, erano parte della cultura e della tecnologia degli abitanti di questo sito 44000 anni fa”, dice Backwell.
Fino ad oggi, la maggior parte degli archeologi riteneva che la prima prova della cultura San di cacciatori-raccoglitori nel sud Africa risalisse al massimo a 20000 anni fa.
I manufatti hanno rivelato usi e costumi molto simili a quella dei moderni San moderne. Alcuni esempi:
Bastoni per scavare zavorrati con pietre forate, datati a circa 44000 anni fa;
Un bastone di legno decorato con incisioni, utilizzato per trasportare un veleno contenente acido ricinoleico trovato in semi di ricino;
Un pezzo di cera d’api, datato a circa 40000 anni fa, mescolato con la resina di sostanze tossiche Euphorbia, e forse uovo, avvolto in fibre vegetali realizzate con la corteccia interna di una pianta legnosa. Come l’equivalente moderno San, era probabilmente utilizzato per avvelenare punte di freccia o strumenti;
Zanne di cinghiale o facocero modellate in punteruoli e teste di lancia, e
Piccoli pezzi di pietra per armi da caccia, come conferma il ritrovamento di residui di resina ancora aderente ad alcuni degli strumenti, identificata come suberina (sostanza cerosa) prodotta dalla linfa di alberi Podocarpus (Yellowwood).
Le somiglianze non si fermano qui. Dice Backwell: “ci sono anche uova di struzzo decorate con perline e conchiglie marine, e ossa intagliate a fini di annotazione. Hanno modellato punte d’osso sottili per l’uso come punteruoli e punte di frecce avvelenate. Una punta è decorata con un solco a spirale piena di ocra rossa, che somiglia strettamente a marchi simili che i San fanno per identificare le loro frecce per la caccia”.
Un’altra leader chiave del team di ricerca, Paola Villa, curatrice presso il Museo di Storia Naturale dell’Università del Colorado e autrice dello studio principale di un altro rapporto basato sulla stessa ricerca, suggerisce che i reperti indicano che l’età della pietra è iniziata in Sud Africa ben più di 20000 anni fa, prima di quanto ritenuto in precedenza – il che coincide con il momento in cui gli esseri umani hanno avviato la migrazione dall’Africa al continente europeo.
“La nostra ricerca dimostra che l’età della pietra emerse in Sud Africa molto prima di quanto si sia creduto e verificato sinora, e circa allo stesso tempo dell’arrivo degli esseri umani moderni in Europa”, ha detto Villa. “Ma le differenze nella tecnologia e nella cultura tra le due aree sono molto forti, e mostrano che la gente delle due regioni ha scelto strade molto diverse per l’evoluzione della tecnologia e società”.
Vedi gli esempi di reperti mostrati nelle immagini sottostanti.

 

 

Image credit: Francesco d’Errico e Lucinda Backwell

Manufatti organici dalla Border Cave
a) bastone da scavo in legno di Flueggea virosa datato a 40986 – 38.986 ca a.C.,
b) applicatore di veleno a base di legno di Flueggea virosa datato a 24564 – 23941 ca a.C., che conserva un residuo di acido velenoso ricinoleico estratto dai semi di ricino,
c) punta di freccia d’osso decorato con una incisione a spirale piena di pigmento rosso,
d) oggetto di osso con quattro serie di tacche, ognuna ottenuta da uno strumento diverso, e probabilmente utilizzato per annotazioni,
e) grumo di cera d’api contenente resina di Euphorbia tirucalli e forse uovo, legato con spago vegetale e datato 41167 – 39194 ca a.C.,
f) perline da collana fatte con uova di struzzo del 44856 – 41010 ca a.C. e perline di conchiglie marine utilizzate come ornamenti personali. Barre di scala = 1 cm
(Image credit: Francesco d’Errico e Lucinda Backwell)

Image credit: Lucinda Backwell

 

 

Bastoni da scavo
a) bastone da scavo in legno fatto da Flueggea virosa e datato 40986 – 38986 ca a.C.,
b) Primo piano che mostra l’arrotondamento e la frantumazione della punta.
c) bastoni per scavare dei San del Kalahari che mostrano somiglianza con il campione di Border Cave
d) Francesco d’Errico, con bastoni da scavo San dalla Collezione Fourie (Museum Africa, Johannesburg). Barre di scala = 1 cm
(Image credit: Lucinda Backwell)

 

 

Image credit: Lucinda Backwell

a) Perline fatte con uova di struzzo
Perle di uova di struzzo dalla Border Cave datate 44856 – 41010 ca a.C., che mostrano tecniche di produzione simili a quelle utilizzate dalle donne San del Kalahari, come:
b) sagomatura con un corno e incudine in pietra,
c) perforazione per produrre il buco centrale,
d) infilando con spago vegetale e
e) arrotondando i bordi con una pietra scanalata.
(Image credit: Lucinda Backwell)

 

 

Image credit: Lucinda Backwell

Punte e cera d’api
a) punta di freccia d’osso decorato con una incisione a spirale piena di pigmento rosso,
b) osso modellato a forma di punta di freccia mediante raschiatura,
c) grumo di cera d’api contenente resina di Euphorbia tirucalli e forse uovo, legato con spago vegetale e datato 41167 – 39194 ca a.C.,
d) punte d’osso di pietra da siti sudafricani,
e) punte di freccia d’osso dei San del Kalahari, e
f) Snelle punte di freccia d’osso reversibili incrostate di veleno. Barre di scala = 1 cm
(Image credit: Lucinda Backwell)

 

 

Image credit: Francesco d'Errico e Lucinda Backwell

Cera con veleno
a) applicatore di veleno in legno dalla Border Cave fatto da Flueggea virosa e datato a 24564 – 23941 ca a.C., con tacche, e
b) residuo aderente contenente acido velenoso ricinoleico estratto dai semi di ricino.
c) applicatori di veleno dei San del Kalahari conservato al Museum Africa, Johannesburg, che mostra pezzi di composti organici utilizzati per le impugnature (giallo) e le parti avvelenate (nero) della freccia, e la dentellatura per evitare lo slittamento del materiale.
d) blocco di cera d’api dalla Border Cave contenente resina di Euphorbia tirucalli e forse uovo, legato con spago vegetale, e datato 41167 – 39194 ca a.C.,
e) punta di freccia d’osso da Border Cave e
f) punte di freccia d’osso dei San del Kalahari. Barre di scala = 1 cm
(Image credit: Francesco d’Errico e Lucinda Backwell)

Scrivono i ricercatori nella loro relazione: “Contrariamente alla tecnologia litica, che dimostra, a Cave Border una graduale evoluzione verso il tardo Paleolitico a partire da 56000 anni fa, gli artefatti organici in modo inequivocabile ricordano un’età della Pietra più avanzata e la cultura materiale San emerge relativamente bruscamente, evidenziando una mancata corrispondenza apparente dei tassi di cambiamento culturale. I nostri risultati sostengono l’idea che ciò che noi percepiamo oggi come un comportamento moderno è il risultato di traiettorie non lineari che possono essere meglio comprese se documentate su scala regionale”.
La ricerca dal team, composto da scienziati provenienti da Sud Africa, Francia, Italia, Norvegia, Stati Uniti e Gran Bretagna, è pubblicata in due articoli on line sulla prestigiosa rivista Proceedings della National Academy of Sciences. Lo studio intitolato “La prova iniziale della cultura materiale San rappresentata da reperti biologici provenienti dalla Border Cave, Sud Africa” è stato scritto da Francesco d’Errico, Lucinda Backwell, Paola Villa, Ilaria Degano, Jeannette Lucejko, Marion Bamford, Thomas Higham, Maria Perla Colombini, e Peter Beaumont. L’altro studio, dal titolo “Border Cave e l’inizio dell’età della pietra avanzata in Sud Africa” è stato scritto da Paola Villa, Sylvain Soriano, Tsenka Tsanova, Ilaria Degano, Thomas Higham, Francesco d’Errico, Lucinda Backwell, Jeannette J. Luceiko, Maria Perla Colombini e Peter Beaumont.

Fonte: Popular Archaelogy, luglio 2012
Fonte per la traduzione: Liutprand.it – www.liutprand.it

 

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In Argentina si continua a lavorare sul sistema Qapaq Ñan

Riceviamo dall’archeologa argentina Teresa Michieli la segnalazione che in Argentina si continua a lavorare sodo sul progetto del Qapaq Ñan – la via sacra degli Incas. Il Ministero del Turismo argentino ha organizzato lo scorso 31 luglio un seminario a Belén (provincia di Catamarca) finalizzato a pianificare strategicamente lo sviluppo di un turismo sostenible associato al sistema viale andino del Qapaq Ñan.
All’incontro hanno presenziato le sette province argentine coinvolte nel team internazionale per presentare all’UNESCO la dichiarazione di Patrimonio dell’Umanità, ovvero Jujuy, Salta, Tucumán, Catamarca, La Rioja, San Juan e Mendoza.
Rappresentanti di diverse giurisdizioni, istituzioni e professioni hanno condiviso uno spazio di lavoro per scambiare e ottimizzare gli sforzi per un progetto in cui l’Argentina si sta impegnando molto. Riportiamo con piacere questa news come ogni altra indiscrezione inerente la candidatura del Qapaq Ñan che abbiamo in parte camminato lo scorso anno e che riteniamo essere la rete di archeologia di montagna più importante al mondo.

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In Croazia trovate ceramiche databili a 17,500 anni fa, in pieno Paleolitico

Un frammento ceramico da Vela Silia - fonte phys.org

Stanno facendo scalpore i ritrovamenti di 36 frammenti di ceramica a Vela Spila, una grotta sull’isola di Korčula nell’arcipelago croato. La datazione stupisce molti studiosi, in quanto i pezzi risalirebbero a ben 17,500 anni fa, in pieno Paleolitico! Molti millenni prima che si immagini la diffusione dell’arte della ceramica, in pieno Paleolitico
Tra i pezzi sono riconoscibili torso e arti di animali a quattro zampe, come cavalli e renne. Come si legge nella rivista PLoS ONE che ha pubblicato la ricerca, gli archeologi credono che la piccola comunità che viveva in questa zona abbia creato e sviluppato la ceramica per ben 2.500 anni, per poi abbandonarla. Le ricerche affrontate dal 2010 dalla University of Cambridge e da colleghi Croati, rivoluzionano la normale visione cronologica che attesta a circa 10.000 anni fa l’invenzione della ceramica
“E’ molto difficile trovare ceramica del paleolitico – afferma il Dott. Preston Miracle di Cambridge in un’intervista a phys.org – quelle di Vela Spila sembrano le prime evidenze di ceramica Paleolitica alla fine dell’era glaciale. E sembrano essere state sviluppate in modo indipendente rispetto a qualsiasi cosa che venne prima. Iniziamo a credere che la tecnica della ceramica sia stata sviluppata ben prima dell’era Neolitica quando le ceramiche divennero popolari anche per l’uso quotidiano esteso (raccolta e conservazione dei cibi di popolazioni stanziali, ndr)”
Quando il primo frammenta venne ritrovato nel 2001 non gli si diede peso in quanto al di fuori dei paradigmi scientifici attuali. Ma quando altri esempi sono emersi dalla grotta croata e le analisi hanno dimostrato essere stati creati dall’uomo allora la collezione intera è stata classificata come “epigravettiana” che poi, con esami al radiocarbonio, é stato possibile attestare tra i 17.500 e i 15.000 anni fa.
I particolari di questi frammenti rivelano grandi competenze artistiche e intenzionalità simbolica, come evidenziano le incisioni, i graffi e i fori applicati con diversi strumenti su ceramiche a forma di animali prima che la ceramica si solidificasse.
In passato furono trovate altre evidenze di ceramiche Paleolitiche in Europa, in Repubblica Ceca, e datate 10.000 anni fa, ma non solo vi sono differenze stilistiche ma anche nell’uso finale, visto che le ceramiche ceche vennero bruciate, probabilmente intenzionalmente per fini rituali.
Ci chiediamo se questo filone artistico balcanico, cui fanno riferimento i ricercatori anglo croati, non possa essere collegato con le ceramiche della dea studiate per anni da Maria Gimbutas.
Infine, vogliamo sottolineare come questa ricerca inizia a fare “massa” con altre come quelle del tempio di Göbekli Tepe, in Turchia, e mostri sempre più un Paleolitico vivo, variegato e attivo e quanto alcune classificazioni temporali (quando è davvero Neolitico?) siano sempre più da rivedere.

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Retrodatati i dipinti preistorici spagnoli a 40mila anni fa. Arkeomount intervista il Prof. Alistair Pike.

Mano dipinta nella grotta spagnola di El Castillo

In queste ore anche in Italia sta avendo eco la notizia delle ultime scoperte inerenti le pitture dipinte spagnole, a seguito delle ricerche internazionali guidate dal Prof. Alistair Pike dell’Università di Bristol (leggi l’articolo di Science).
Grazie all’uso del metodo di datazione dell’uranio-torio in 11 grotte con dipinti rupestri dell’area cantabrica (fra cui Altamira, El Castillo e Tito Bustillo) i ricercatori hanno datato le pitture a 40.000 anni fa, retrodatando in parte molte di queste. Oltre alle implicazioni sulla datazione – che ci impone di domandarci se e quale possa essere stato il ruolo del Neanderthal in alcune di queste rappresentazioni (a tale proposito vedi il nostro post del 17 febbraio 2012), abbiamo voluto approfondire il metodo di datazione responsabile della scoperta. Per farlo abbiamo raggiunto il direttamente il Dr Alistair WG Pike, Reader in Archaeological Sciences presso il Dipartimento di Archeologia e Antropologia dell’Università di Bristol (UK), a capo del progetto di ricerca che ha prodotto queste scoperte, che é stato così gentile di rispondere alle domande di Arkeomount. A seguire la breve intervista.

Arkeomount (ARK): “Prof. Pike, come funziona la datazione dall’uranio-torio?”
Dr Alistair WG Pike (AP): “Stiamo datando piccoli depositi di calcite – simili a stalagmiti – che si sono formati sulla superficie dei dipinti. Mentre si formano, queste stalagmiti incorporano tracce di uranio, che decade radioattivamente per divenire torio. La misurazione del rapporto tra il torio e l’uranio ancora presente ci consente di sapere quando questi depositi di calcite si sono formati”

(ARK): “Possiamo dire che questo metodo è meno invasivo della misurazione del radiocarbonio?”
(AP) : “Si”

(ARK): “Perché?”
(AP): “Perché la datazione al radiocarbonio richiede la rimozione di pigmento dal dipinto e provoca pertanto un danno. Il nostro metodo rimuove esemplari da un punto al di sopra del dipinto (che rimane intatto – ndr), senza causare alcun danno. In ogni caso gli esemplari che raccogliamo sono così piccoli che sono quasi invisibili.

(ARK): “Qual è il processo che avete usato per applicare il metodo ai dipinti su roccia?”
(AP): “ Abbiamo rimosso piccoli esemplari di calcite (piccoli come 10mg, circa la dimensione di un chicco di riso) raschiando con una lama. Ogni esemplare è stato portato al nostro laboratorio, dove l’uranio e il torio sono stati estratti ed è stato così possibile calcolare il loro rapporto usando uno spettrometro di massa”

Una tecnica non invasiva dunque, che sfrutta la presenza nelle grotte spagnole del torio, metallo debolmente radioattivo che si trova in piccole quantità nella maggior parte delle rocce e dei suoli, dove è circa dieci volte più abbondante dell’uranio.
La datazione uranio-torio, detta anche “thorium-230”, è una tecnica di datazione radiometrica che non misura l’accumulazione di un prodotto di decadimento stabile. Questa tecnica calcola un’età a partire dalla quale all’interno di un campione si è modificato l’equilibrio secolare tra il thorium-230 (isotopo radioattivo) ed il suo radioattivo genitore (uranio-234).
Mentre il Torio non è solubile in acque naturali (quando queste si trovano in superficie o vicine ad essa), l’uranio lo è. Ciò significa che ogni materiale che cresce a seguito della deposizione di acque naturali contiene uranio. Col passare del tempo l’isotopo dell’uranio 234 decade in torio-230. Quest’ultimo non si accumula in maniera indefinita perché è radioattivo per i primi 75mila anni. Pertanto si conosce qual è il punto di equilibrio tra i due isotopi e si sa che la quantità in percentuale di torio-230 che decade annualmente è stabile. Da questi rapporti e sulla base del rapporto secolare tra i due componenti, è possibile in una roccia nata in un terreno sorto da o impregnato di acque naturali (anche per infiltrazione), calcolare a ritroso gli anni. Le formazioni di calcite sorte sopra i dipinti rupestri non possono che essere nate dopo l’esecuzione dei dipinti stessi. Proprio queste piccole stalagmiti sono alla base delle ricerche del Prof. Pike e dello staff internazionale che ha guidato alla scoperta.
Resteremo in contatto con il Prof Pike e speriamo di avere altre news direttamente dal campo

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Ricostruito il paesaggio dell’Alto Adige durante l’era glaciale

Ricostruzione della zona di Merano - immagine tratta dal sito della Provincia di Bolzano

Spesso parliamo dell’importanza del paesaggio nella storia umana: rilievi, evidenze geologiche, landmarks. Alcuni paesaggi non sono per niente nemmeno immaginabili oggi, come quelli dell’era glaciale. Ieri è stato presentato presso il il Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige un video documentario prodotto dal Museo e dall’Ufficio Audiovisivi della Ripartizione Cultura tedesca la prima ricostruzione filmica del paesaggio altoatesino nell’era glaciale. “Südtirol unter Eis – Eine Spurensuche” (in italiano, “Alto Adige sotto ghiaccio – Una ricerca delle tracce”) è il film documentario che riporta il paesaggio alto atesino di 25.000 anni fa, al culmine delle ultime glaciazioni, quando l’attuale Alto Adige era coperto da una crosta ghiacciata spessa 2 chilometri.
Il paesaggio altoatesino appariva inospitale, quasi interamente privo di piante ed animali, e caratterizzato da tempeste di neve: un deserto freddo da cui emergevano solo le cime delle montagne più alte. Riprendiamo il comunicato stampa della provincia di Bolzano che dice: “utilizzando spettacolari animazioni ed un linguaggio divulgativo semplice ma preciso, il film racconta la storia del territorio altoatesino durante l’era glaciale, dal suo inizio 2 milioni di anni fa alla sparizione completa, 7.000 anni fa, dei ghiacciai che si erano formati in quel periodo. Grazie alla rielaborazione digitale delle immagini, è stato possibile ricostruire il paesaggio dell’Alto Adige con le valli colme di ghiaccio e neve e quello, di decine di migliaia di anni posteriore, successivo al loro scioglimento, che produsse un’enorme quantità di detriti franosi”.
Nel film si parla anche delle testimonianze dell’era glaciale, i cosiddetti “trovatelli”, blocchi di pietra che giacciono, isolati, nel fondovalle. Il materiale di cui sono composti, diverso da quello del terreno circostante, indica che vennero trascinati dallo scivolamento dei ghiacciai. Altri testimoni delle glaciazioni sono il Lago di Caldaro, le “buche del ghiaccio” ad Appiano, le “piramidi di terra” a Meltina, i Laghi di Spronser nel Gruppo del Tessa, le rocce moreniche nei dintorni di Merano. Siti che, nelle immagini, divengono protagonisti di sopralluoghi geologici a scopo didattico, immortalati anche con suggestive riprese aeree.
A nostro avviso questo tipo di lavori potrebbero dare molto alla ricostruzione archeologica se applicata anche a paesaggi più vicini a noi e inerenti scenari non totalmente scomparsi, basti pensare ai monti e alle isole apparse o scomparse negli ultimi due millenni sulle coste italiane.

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