Lo scorso 14 aprile è stato inaugurato il nuovo Museo delle Palafitte a Fiaveè (Trento) per valorizzare un insieme archeologico che, insieme a quello di Molina di Ledro (sempre in Trentino) è stato inserito dall’UNESCO nella World Heritage List insieme ad altri 109 siti palafitticoli dell’arco alpino.
Ci siamo recati a Fiavè nello scorso mese per visitare l’area archeologica e l’esposizione museale che raccoglie i reperti recuperati nell’area, vissuta dal Mesolitico (VII millennio a.C.) fino all’Età del Ferro. Le palafitte di Fiavè in realtà sono state vissute soprattutto tra IV e II millennio a.C. e hanno visto succedersi palafitte elevate in acqua a capanne a secco, erette su bonifiche della sponda lacustre. Il percorso museale è ben costruito con reperti, videoinstallazioni (appropriate! Non sempre è così) e molto spazio alla didattica, non solo per bambini. Affascinante la struttura del museo – ricavata dall’antica Casa Carli – che dà giusta luce ai reperti incredibili ritrovati nell’antico lago. Alcuni pezzi sono unicum europei per comprendere e ricostruire la vita in età antica: monili in bronzo, vasellame in ceramica e persino ambra (dal Baltico) e bronzo. Certo ciò che sorprende di più sono i pezzi in legno, sopravvissuti quasi quattromila anni: strumenti da lavoro, utensili da cucina e per il lavoro quotidiano per un totale di 300 pezzi.
L’area archeologica è suggestiva, soprattutto se raggiunta a piedi in una giornata uggiosa, come capitato a noi e seppur poco è rimasto, i legni che emergono dalla torbiera completano il paesaggio circostante con un tocco arcano, che aiuta a tuffarsi nel passato.
Anche nel non distante sito di Molina di Ledro c’è un museo accompagnato da palafitte ricostruite a scopi museali e didattici. Non visitiamo il museo da un anno circa, ma la vicinanza del lago di Ledro e la conca in cui è immerso il sito, aiutano a riflettere su quale sia stato lo scenario qualche millennio fa. La ricostruzione delle tre palafitte a Ledro ha impegnato 5 mesi effettivi tra il 2005 e il 2006 e ha visto l’utilizzo di 70 metri cubi di legname (130 pali complessivi di cui i più lunghi di 9 metri, più 2500 fasci di cannucce per la copertura dei tetti)
Il materiale recuperato durante le ricerche svolte fra il 1929 ed il 1983 a Ledro ha consentito agli studiosi di replicare alcune dinamiche costruttive, senza però consentire di indagare tutte le molteplici forme (tante erano le gamme costruttive usate dal 4.000 a.C. al 1.500 a.C.). Gli studiosi sono concordi nel ritenere che alcune capanne possano avere avuto una dislocazione su piattaforma installata su pali isolati “di bonifica” (alcuni dunque con funzioni portante, altri con ruolo di “costipazione”- come a Fiavè), mentre in anni recenti l’attenta disamina della morfologia di alcuni pali di fondazione (con due fori rettangolari distanti circa un metro), ha consentito di avanzare l’ipotesi che una parte del villaggio fosse costruita secondo il modello definito “Stelzbau”; per gli edifici a “Stelzbau” gli esempi meglio definiti e studiati in area alpina sono quelli dei siti di Thayngen Weier in Svizzera, di Ödenahlen e di Kempfenhausen in Germania, di La Motte aux Magnins e di Chalain 3 in Francia (della “Cultura di Pfyn”, “Altheim”, “Cortaillod” e “Horgen” ca 3000-4000 anni a.C.).
Montagna, lago e offerte votive sul fondo del lago. Un tema che torneremo ad approfondire.