Il guerriero di Aosta, un ritrovamento che farà la storia alpina

 

Immagine tratta da LaStampa.it

Arriviamo in ritardo di qualche giorno a darvi questa notizia (ringraziamo @Beppe Leyduan per la twittata live!): il quotidiano La Stampa nella sua versione online ha annunciato il ritrovamento ad Aosta di un tumulo contenente i resti umani di un uomo databili a 2.700 anni fa.
Seppur già questi dati rendono la notizia interessante, le vere caratteristiche che la rendono unica sono queste: l’uomo in questione – ritenuto di origine celtica – era alto 1,70 metri e la sua sepoltura era colossale, visto che misura 18 metri di diametro!
Un tumulo degno di una persona di alto rango che ha fatto capolino mentre avanzavano i lavori allo scavo archeologico nel cantiere del nuovo ospedale di Aosta ( piazza Caduti nei lager nazisti). La fonte dice che una buona parte del tumulo è ancora da scoprire, sotto via Jules Guédoz.
Tiriamo un po’ le somme da questi primi e scarni dati.
Giustamente lo si definisce un “gigante”: l’altezza è notevole per l’epoca e pare che anche i resti ossei parlino di una persona robusta, sui trent’anni. Era un guerriero probabilmente, visto lo spadone che stava al suo fianco. La stessa spada ci dice che veniva da Nord, prima che arrivassero i celtici Salassi – considerati i primi occupanti della zona, e ci dice anche che era di alto rango, oltre che non era solo. Chiunque gli abbia costruito la gigantesca tomba deve essere rimasto molto tempo in loco per concludere un lavoro tanto preciso e laborioso, tanto da farci pensare ad una presenza stanziale da parte di un gruppo affiatato e omogeneo. Le lastre di pietra del tumulo funebre misurano tre metri per due e fanno a gara con i tumuli megalitici della Costa Brava spagnola (vedi il nostro sopralluogo in Costa Brava del 2013). Alcuni archeologi ipotizzano di attribuire il tumulo valdostano alla cultura di Halstatt e non al periodo celtico che segue (cultura di La Tene). Ricordiamo che Halstatt è il nome attribuito a quella cultura preistorica che dà praticamente inizio alla prima Età del Ferro in Europa Centrale e che prende il nome dall’omonima località austriaca, a ridosso delle Alpi, vicino Salisburgo. Una comunità ricca grazie allo sfruttamento delle vicine miniere di sale, che si allargò a buona parte dell’arco alpino, soprattutto in Francia orientale, Svizzera, Germania meridionale, Boemia, Austria e Carnia. La cultura di Halstatt era caratterizzata proprio da tombe a tumulo e la si può inserire nella scala temporale tra il VII e il VI secolo a.C. Ma, per l’appunto, l’articolo segnala come lo strato di terra che sta sopra il ritrovamento di Aosta è di quasi tre metri e pare poter risalire al 2300 a.C…esattamente il periodo megalitico europeo come quello spagnolo.
Certo l’arco temporale che stiamo ipotizzando è molto ampio e se i resti del guerriero saranno confermati al VII a.C. (il sovrintendente ai Beni culturali Roberto Domaine annuncia che vi saranno presti analisi sul Dna dei resti ossei) avremo comunque una bella sorpresa: potremo infatti considerare che i mercanti guerrieri artigiani di Halstatt sono arrivati fino all’arco occidentale delle Alpi !

I tumuli di questa civiltà sono in linea sia con le caratteristiche, sia con le dimensioni del tumulo di Aosta. 18 metri di diametro sono una misura considerevole anche se uno dei più grandi tumuli del periodo di Halstatt si trova presso presso Hundersingen, nel Württemberg tedesco e misura ben 80 metri di diametro!

Ma perché queste genti giunsero fino a qui? La suggestione la leggiamo nelle ultime righe del pezzo de La Stampa, dove si legge che la zona del ritrovamento è ricca di resti archeologici, inclusi un allineamento di stele dell’Età del Rame e un altro circolo di pietre del Ferro. E se fossimo di fronte a un altro luogo di pellegrinaggio della preistoria alpina che si affianca a – ad esempio – la Valcamonica o il Monte Bego? Allora si spiegherebbe perché una comunità di “Halstattiani”, artigiani del ferro e costruttori di tumuli, si sarebbero spinti fino a qui: lo avrebbero fatto in quanto centro riconosciuto e condiviso di pensiero, ombelico del mondo, luogo di culto, luogo significante.

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Egitto dal cielo, straordinaria mostra a Milano fino al 13 marzo

 

Tratta dal sito www.unimi.it

Lo sappiamo, è passato un po’ di tempo dal nostro ultimo post! La vita ci ha chiamato a rivolgere le nostre attenzioni ad altro, ma siamo tornati e cercheremo di essere regolari!
Quale migliore occasione per riprendere a scrivere online di archeologia, se non partendo da uno dei momenti pionieristici della moderna ricerca aereo fotogrammetrica.
L’11 febbraio si è aperta presso l’Università degli studi di Milano la mostra “Egitto dal cielo, 1914 – La riscoperta del fotografo Theodor Kofler pioniere, prigioniero, professionista”.

Dagli Archivi di Egittologia dell’Università degli Studi di Milano la riscoperta di un personaggio straordinario e della sua più importante realizzazione, la prima serie di foto archeologiche aeree mai documentata, scattate nel 1914 dal cielo sopra l’Egitto, dal Cairo a Luxor. La raccolta è visitabile fino al 13 marzo visite guidate dagli allievi di Egittologia della Statale.

Proseguiamo con il comunicato stampa ufficiale.

Curiosità, infaticabile passione per la ricerca e un pizzico di fortuna, insieme allo straordinario valore storico e documentario degli Archivi di Egittologia dell’Università Statale di Milano: sono questi gli elementi alla base della scoperta fatta dall’egittologa della Statale Patrizia Piacentini e dal suo gruppo di ricerca che dopo uno studio decennale ha restituito alla Storia la vicenda umana e professionale di Theodor Kofler, pioniere della fotografia aerea.

Esaminando il fondo appartenuto ad Alexandre Varille, acquisito dall’Ateneo nel 2001 grazie a una generosa mecenate milanese, gli studiosi si sono imbattuti in un album di fotografie siglate Kofler Cairo 1914. Ventuno immagini eccezionali, scattate nella prima metà del 1914, che riproducono le piramidi, i templi di Karnak e Luxor e alcuni monumenti della riva occidentale tebana. Una raccolta unica, di grande valore per l’Egittologia, la Storia della fotografia e la Storia dell’aviazione, opera di un autore – Kofler – di cui tuttavia non si sapeva praticamente nulla, neppure il nome di battesimo.

La ricerca degli egittologi milanesi, svolta tra vari Paesi europei ed africani, ha consentito di ricostruire il profilo di un personaggio ricco di fascino e interessante, oltre che per la storia delle fotografia, anche per la microstoria della Grande Guerra.

Si è individuato il suo nome, Theodor, e si è potuta tracciare la sua biografia, dalla nascita a Innsbruck alla morte sul lago Vittoria in Tanzania, passando per gli anni dell’Egitto e della Prima Guerra Mondiale quando, internato in un campo di prigionia inglese a Malta, ne divenne uno dei fotografi ufficiali, testimoniando vari aspetti della realtà dei campi di prigionia, fino alla fortunata carriera di fotografo professionista tra gli anni Venti e Cinquanta. Con la stessa precisione e il contributo di storici della fotografia si sono anche potuti identificare gli aerei e i piloti che accompagnavano Kofler nella sue missioni “dall’alto”.

Le fotografie scattate dal cielo del Cairo e di Luxor nel 1914, probabilmente ad uso dei turisti e dei viaggiatori che solevano passare i mesi invernali in Egitto, rappresentano il capolavoro di Kofler e sono di importanza fondamentale per la storia della fotografia: rappresentano infatti le prime foto aeree di siti archeologici della storia, scattate ben sei anni prima della immagini della necropoli di Menfi riprese nel 1920 dall’archeologo statunitense James Henry Breasted e finora considerate le più antiche testimonianze di questo genere.

La Mostra, che sarà inaugurata il prossimo 11 febbraio alle 11.30 nella Sala di Rappresentanza di via Festa del Perdono 7, esporrà tutte le fotografie aeree dell’album di Kofler nel quattrocentesco Cortile Farmacia, in un suggestivo allestimento scenografico nato da un’idea del designer Alessio Carpanelli.

Lungo i quattro lati della loggia saranno esposte in grandi dimensioni le fotografie dell’album a soggetto archeologico di Kofler, oltre a pannelli esplicativi del periodo storico, della vita e dell’attività di questo affascinante personaggio. Nell’installazione al centro del cortile, Carpanelli ha riprodotto su grandi pedane, disposte secondo l’orientamento e le proporzioni delle piramidi di Giza, tre fotografie aeree di Kofler scelte per la loro potenza evocativa, interpretandole e trasfigurandole con lo stesso stupore di chi, per la prima volta, poteva ammirare gli antichi monumenti dei faraoni dal cielo.

Per approfondimenti www.unimi.it
Che dire? Da vedere!

 

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Una spedizione di archeologi ed etno-botanici Choquequirao: centro cerimoniale e piantagione di coca degli Incas?

Choquequirao - tempio sulla sommità - foto di Gary Ziegler

Abbiamo ricevuto in questi giorni dall’amico Gary Ziegler alcune note direttamente dal campo. Gary, archeologo di National Geographic, è nuovamente a Choquequirao, sulle Ande peruviane.
L’anitca “città perduta” degli Incas – studiata e riportata dall’archeologo americano anche nel suo ultimo libro “Machu Picchuʼs Sacred Sisterʼs, Choquequirao and Llactapata” che ha presentato ad Arkeomount in questa intervista – custodisce alcune indicazioni che potrebbero essere molto utili per la ricostruzione del passato andino.
Infatti, la posizione ancora isolata della cittadella – probabilmente costruita dall’Inca Topa Yupanki e abbandonata nel 1572 con la cattura dell’Inca ribelle Tupac Amaru –
ci permette di studiarne non solo la relazione rispetto al paesaggio (pressochè immutato), ma anche le coltivazioni. Per questo motivo Gary Ziegler si trova a Choquequirao con alcuni etno-botanici. L’intenzione è di identificare piante ed alberi che possano essere stati introdotti in loo dagli Incas e che potrebbero essere sopravvissute nella fitta vegetazione che circonda le costruzioni e i muri solo recentemente ripuliti a colpi di macete.
Choqueqirao era una cittadella cerimoniale ideata e costruita in relazione con fiumi e montagne sacri, nonchè con fenomeni celesti rilevanti, come i solstizi di dicembre e giugno. Insieme a Machu Picchu era la città amministrativa di riferimento per la provincia ed è possibile che fosse oggetto di pellegrinaggi stagionali.
Nel report che ci ha inviato, Gary sottolinea che ci siano evidenze di come la coca fosse coltivata a Choquequirao in maniera massiccia (sono stati identificati magazzini per il suo stoccaggio) e anche distribuita per le cerimonie imperiali. Per svolgere questo ruolo, la città necessitava di una popolazione residente e pure numerosa. Gli esploratori e i ricercatori hanno effettivamente individuato sia i resti di un grande insediamento disposto su numerose miglie quadrate, che era posto proprio sopra uno dei templi principali (il Pinchaunuyoc) che ospitava
amministratori, inservienti e cerimonieri dei templi principali, sia un insediamento più lontano, nel quale probabilmente risiedevano i lavoratori della (chiamiamola così) “piantagione” di coca.
Ringraziamo Gary che ci consente sempre di riproporre ai nostri lettori le sue avventure!

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Scoperti resti di un villaggio di 6.000 anni fa vicino a Stonehenge: addio all’idea di un tunnel?

Immagine tratta da www.thetimes.com.uk

Ricordate che quclhe mese fa fu annunciato un piano per salvaguardare il paesaggio neolitico di Stonehenge ? Si pensava di costruire un tunnel sotterraneo per eliminare dalla vista qualsiasi traccia di modernità. Ma ora Cameron – che aveva caldeggiato il progetto  del tunnel lungo quasi 2 miglia con un costo di circa da 2 bilioni di sterline – dovrà ripensarci. Alcuni siti inglesi (tra i quali Full Time Whistle) riportano in queste ore della sensazionale scoperta fatta da archeologi dell’Università di Buckingham. Forse la scoperta più sensazionale degli ultimi anni (dopo quella di Woodenhenge): è stato trovato infatti un accampamento stabile risalente al 4.000 prima di Cristo, in piena età Mesolitica per le latitudini britanniche.
Blick Mead è il nome della località posta a un miglio e mezzo da Stonehenge, dove i resti datati al radio carbonio hanno restituito questa incredibile datazione. Non solo: ci sarebbero strutture integre risalenti al Mesolitico anche all0interno del sito Unesco! Tra i ritrovamenti resti di banchetti, come ossa di tori giganti o strumenti dei primi cacciatori raccoglitori dell’area. Responsabile degli scavi è David Jacques che ha portato alla luce le evidenze scientifiche durante gli scavi di ottobre, scavi che sono parte del MA in archeologia della stessa università di Buckingham: “questo è il più antico insediamento mesolitico britannico- ha detto il dott Jacques – dobbiamo riscrivere la storia inglese!”.
In effetti 6000 anni fa la Bretagna era ancora parte del continente, e i ghiacci stavano terminando di sciogliersi, isolando poi l’isola. A Blick Mead pertanto troviamo i primi cacciatori di rientro dall’europa
Nel website di Full Time Whistle il ricercatore inglese parla chiaro: “I politici sono interessati alle elezioni che ci saranno tra 140 giorni, noi alla storia dei nostri antenati di 6.000 anni fa”. Già mille persone hanno firmato una petizione per bloccare il progetto del tunnel a Stonehenge…

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Ad Altino inaugurato dopo 30 anni il museo archeologico – apertura a giugno 2015..

Altino: foto tratta da www.archeoveneto.it

La nuova sede del Museo Archeologico nazionale di Altino è stata inaugurata questa settimana, ma solo a giugno del prossimo anno dovrebbe aprire al pubblico.
Stiamo parlando di una delle più importanti esposizioni archeologiche d’Italia (nonché la prima del Veneto) che custodisce – e si spera presto mostrerà – migliaia di reperti dell’antica città romana di Altinum, l’antenata di Venezia, quasi 50mila. L’area interessata dagli scavi ha restituito persino un antico santuario altinate, e un’intera area del museo sarà dedicata a questa sola area.
Il progetto del nuovo Museo Archeologico nazionale di Altino (Venezia) è illustrato nel sito dei beni culturali del Veneto a questa pagina e che riportiamo per intero a seguire:

“L’attuale sede del Museo Archeologico nazionale di Altino è ormai inadeguata a conservare, fare conoscere e divulgare la storia archeologica del territorio altinate. Al fine di consentire il raggiungimento di adeguati standard museali sarà realizzata una nuova struttura idonea a soddisfare le crescenti esigenze espositive e gestionali del patrimonio culturale, la cui costruzione si accompagnerà ad un riallestimento della parte esistente.
Il nuovo complesso architettonico, realizzato su un’area demaniale in località “La Fornace” nel comune di Quarto d’Altino (Venezia), consisterà in due edifici rurali restaurati e in tre nuovi corpi di fabbrica, diventando, per estensione, numero e qualità dei servizi offerti, il primo museo archeologico del Veneto.
Il progetto, elaborato dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto, è stato concepito in modo da assicurare la continuità alla narrazione espositiva, la differenziazione dei percorsi (pubblico, dipendenti del museo, gestori dei servizi aggiuntivi), la visibilità delle persistenze archeologiche, lo svolgimento di attività collaterali (mostre, spettacoli teatrali, concerti, installazioni). I visitatori saranno in grado di penetrare l’iter che dal loro rinvenimento conduce all’esposizione delle testimonianze archeologiche del passato, familiarizzandosi con quei passaggi, tecnici e amministrativi, che consentono al reperto di divenire bene culturale oggetto di godimento pubblico e parte integrante di un processo scientifico-informativo di grande rilevanza.
La struttura museale, che si pone come momento dialettico tra persistenza storica ed innovazione, offrirà soluzioni progettuali e architettoniche allineate agli indirizzi di culturali e tecnologici più aggiornati, idonei a garantire la protezione e la conservazione del patrimonio archeologico”.

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Intervista di Arkeomount al Professor Eric H. Cline, autore di “1177 a.C.”

Il professor Eric H. Cline

Abbiamo scritto al Professor Eric H. Cline, Direttore e Professore di Antichità Classiche e Antropologia GWU – Capitol Archaeological Institute (Columbian College of Arts & Science) nonce autore di “1177 a. C.” appena pubblicato in Italia. E’ stato molto disponibile rispondendo subito alla nostra richiesta via mail e possiamo così pubblicare le risposte che ha fornito per questa intervista ad Arkeomount.

Arkeomount (A):   Gentile Professor Eric. H. Cline, lei ha appena pubblicato  il testo “1177 a.C.” tradotto in Italiano grazie all’editore Bollati Boringhieri. Il titolo identifica una data precisa: cosa accadde in quel momento e perché ha deciso di focalizzare la sua attenzione sul quell’anno particolare?
Eric H. Cline (EHC): Quell’anno, il 1177 a.C., è l’ottavo anno dell’impero egiziano del Faraone Ramsete III. E’ anche l’anno in cui – per la seconda volta- I Popoli del Mare attaccarono l’Egitto; la prima volta fu trent’anni prima, nel 1207 a.C. Persero in entrambe le occasioni, e, dopo il 1177 a.C., non tornarono più indietro. Sebbene il collasso dell’ Era del Bronzo Finale durò circa un secolo, ho scelto il 1177 a.C. in quanto é la data che meglio rappresenta questo collasso, esattamente come siamo soliti usare il 476 d.C. per rappresentare la caduta definitive dell’Impero Romano.

A: Qualcosa cambiò in quegli anni. Molti imperi iniziarono a crollare. Lei ha condotto numerosi scavi nel Mediterraneano (Israele, Cipro, Egitto, Grecia…) e ha esaminato un sacco di reperti. In base ai suoi studi cosa stava accadendo esattamente nel XII secolo prima di Cristo?
EHC: Il XII secolo prima di Cristo rappresenta la fine di un’Era – la fine di secoli di interconnessione e globalizzazione che avevano unito i grandi imperi dell’Egeo, dell’Egitto e del Mediterraneo Orientale. Improvvisamente, proprio prima e dopo il 1200 a.C., queste regioni hanno vissuto un incredibile e ampia varietà di eventi sfortunati, da terremoti a siccità, da carestie ad invasioni e forse persino rivolte interne e locali.

A: Alcuni autori, come Claudio De Palma (che ha insegnato e svolto le sue ricerche presso le università americane di Northern Colorado University e Stanford University), pensano che questi cambiamenti abbiano spinto delle genti del Mediterraneo da Est ad Ovest (De Palma accenna all’impero di Arzawa), dando così vita ad importanti culture quali quella Etrusca e Sarda (gli “Shardana”). Lei concorda con questa visione?
EHC: Questa è sempre stata e continuerà ad essere una questione di grande dibattito. Personalemente pesno che sia più possibile che questi cambiamenti abbiano spinto genti del Mediterraneo da Ovest verso Est, ovvero dalla Sardegna, dalla Sicilia e dall’Italia verso la Grecia e l’Est del Mediterraneo, ma ci sono alcuni che non concordano, come Claudio De Palmas. E’ anche possibile che qualcuno andò in una direzione mentre altri andavano nell’altra in momenti diversi nello stesso periodo. Non possiamo tuttavia decidere in maniera definitiva quale di queste ipotesi sia più corretta.

A: Una domanda a bruciapelo: chi erano i Popoli del mare? Da dove arrivavano?
EHC: E’ una domanda da 100.000 dollari! Come scrivo nel mip libro, non abbiamo in realtà molte informazioni su di loro. Tutto quello che abbiamo sono iscrizioni egiziane che ne menzionano i nomi, includendo i Peleset – che probabilmente erano i palestinesi , i Denyen, i Weshesh, gli Shardana, i Shekelesh, e così via. Ci sono un totale di nove gruppi simili nominati dagli Egiziani, ma onestamente non sappiamo assolutamente da dove venissero o dove finirono, a parte il fatto che attaccarono l’Egitto e ne vennero sconfitti.

A: Dal suo punto di vista, come fu il passaggio dall’Era del Bronzo a quella del ferro? Se consideriamo la differenza tra i due metalli dobbiamo riconoscere che il Ferro è più difficilmente lavorabile rispetto al brozno, fonde a temperature più alte e la sua durevolezza non è comparabile ai livelli del bronzo ben lavorato, senza considerare il fatto che la sua durata p nettamente inferiore. Questo passaggio da un materiale all’altro fu consapevole o fu in un qualche modo “spinto” a causa di qualche “variabile non controllabile”?
EHC: Penso che sia più probabile che il passaggio al ferro fu una necessità dovuta al fatto che l’accesso sia al rame come allo stagno diminuì verso la fine dell’Eta del Bronzo Finale. Sappiamo che il ferro era già usato nella Fase Finale del Bronzo, ma è la frequenza di utulizzo che cambia. A me pare che non si affronti un tale cambiamento a meno che non sia assolutamente necessario.

A: Parliamo infine degli approcci all’archeologia. Il suo lavoro  uno dei pochi che cerca di mostrare una “big picture” di cosa fosse il mondo in una certa epoca, considerando molti parametri. Siamo a favore di un tale approccio che guardi alla complessità della storia, introducendo appunto ogni variabile. Questo approccio necessità però di una mente aperta, pronta a riunire saperi da diversi lavori, aperta all’interdiscplinarietà. Parlando negli anni con ricercatori Europei e Americani ci sembra che la “via Americana” sia maggiormente disponibile a presentare dati provenienti da diversi campi ed esperienze. L’archeologia e l’antropologia sono spesso parte di uno stesso dipartimento negli USA mentre l’Europa pare ancora legata ad una visione classica che mantiene una distanza di fondo tra i dati quantitativi e quelli qualitativi. Concorda? Lei pensa che questo scenario che abbiamo descritto sia ancora valido?
EHC: Non sono sicuro che questa sia la “via Americana” o semplicemente il modo in cui alcuni studiosi decidono di guardare il mondo. Conosco ricercatori, in Europa e altrove, che guardano sempre alla “big picture,” ma questo è semplicemente un approccio che mi interessa di più. Con alcuni colleghi pubblico lavori scolastici, come quelli inerenti gli scavi a Tel Kabri- dove nel 2013 abbiamo trovato la più antica e grande cantina per vino del Vicono Oriente (e scaveremo ancora ciò che resta la prossima estate), ma quando lavoro per conto mio, mi piace l’approccio del “big picture”, specialmente parlando in termini di inserire ogni dato in un contesto.

A: Grazie mille!
EHC: E’ stato un piacere, grazie mille a VOI!

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Special interview to Prof. Eric H. Cline, author of “1177 BC”

Prof Eric H. Cline - photo credit Columbian College of Arts & Science

We wrote to Professor Eric H Cline, Professor of Classics and Anthropology and Director of the GWU Capitol Archaeological Institute (Columbian College of Arts & Science) whosw “1177 BC” has just been published in Italy
He was so kind to answer’s Arkeomount questions in few days! Here you are the interview (soon will be posted in Italian too).

Arkeomount (A):      Dear Professor Eric. H. Cline, you just published “1177 BC” translated in Italian thanks to the Italian editor Bollati Boringhieri. The title identifies a precise date: what happened in that moment and why did you decide to focus the audience to that precise moment of our history?
Eric H. Cline (EHC): That year, 1177 BC, is the eighth year of the Egyptian pharaoh Ramses III. It is also the second time that the Sea Peoples attack Egypt; the first time was thirty years earlier, in 1207 BC. They lose both times and, after 1177 BC, they never come back. Although the collapse of the Late Bronze Age took about a century overall, I chose 1177 BC as the date that best represents the collapse, just as we use AD 476 to represent the fall of the Roman Empire.

A: Something changed in those years. Many empires began to collapse. You did a lot of excavations in the Mediterranean (Israel, Cyprus, Egypt, Greece…) and you collected a lot of data. According to these data what was going on in the XIIth  century BC?
EHC: The 12th century BC represents the end of an era — the end of centuries of interconnections and globalization that linked the great empires of the Aegean, Egypt, and the Eastern Mediterranean. Suddenly, just before and after 1200 BC, these regions experienced a wide variety of unfortunate events, ranging from earthquakes to drought and famine to invaders and perhaps even local uprisings.

A:      Some authors, as Claudio De Palma (who taught and researched in some US universities as Northern Colorado University and Stanford University), think that these changes pushed Mediterranean people from East to West (he writes about the Arzawa empire), giving life to important cultures as the Etruscan and the Sardinian ones (the “Shardana”). Do you agree?
EHC: This is has always been, and still is, a matter of great debate. I personally think that it is more likely that these changes pushed Mediterranean peoples from West to East, i.e. from Sardinia, Sicily, and Italy to Greece and the Eastern Mediterranean, but there are others who argue as Claudio De Palma does. It is also possible that some went one way, while others went the other, including at different times during this period. We cannot yet definitively decide what is correct.

A:      A direct question: who were the Sea peoples? Where do they come from?
EHC: That is the $100,000 question. As I explore in my book, we do not have much actual information about them.  All that we really have are the Egyptian inscriptions which mention them by name, including the Peleset, who are probably the Philistines, the Denyen, Weshesh, Shardana, Shekelesh, and so on. There are a total of nine such groups named by the Egyptians, but we honestly do not yet know absolutely where they come from or where they end up, apart from the fact that they attack Egypt and are defeated.

A:      From your point of view, what was the passage from Bronze to Iron Age? If we consider the differences between these two metals we must recognize that Iron is very more hardly workable of the bronze, it melts to higher temperatures and its hardness is not great in comparison to that of the well worked bronze, while instead the duration is very inferior. Was this passage a conscious step forward or was it “pushed” because of some “not controlled variable”?
EHC: I think it is most likely that the change to iron was made necessary by decreased access to supplies of both copper and tin towards the end of the Late Bronze Age. We know that iron is already being used in the Late Bronze Age and that bronze is still used in the Iron Age, but it is the frequency of use that changes. It seems to me that one would not make such a change unless it was absolutely necessary, or made sense for other reason, but that seems to have been the case.

A:      Let’s talk about approaches to archaeology. Your work is one of the few ones that try to give a “big picture” of what was to world, taking in account a lot of parameters. We support this way of letting people really look at the complexity of history, introducing them to all the variables. This approach needs an open minded vision, ready to collect data from interdisciplinary works. Talking to European and American researchers we feel that the “American way” seems to be more available to collect data from different fields and expertise. Archaeology and anthropology are part of the same department in many American University, while Europe seems to be still fastened to a classical vision that keeps the qualitative and the quantitative data separated.  Do you agree? Do you think that this is still “the picture”?
EHC: I’m not sure if this is the “American way” or simply the way that some scholars choose to look at the world. I know of other scholars, from Europe and elsewhere, who also look at the “big picture,” but this is simply the approach that is most interesting to me. With my colleagues, I do publish scholarly studies that are more focused on smaller questions as well, such as on our excavations at Tel Kabri, where we found the oldest and largest wine cellar in the ancient Near East in 2013 (and will be digging the rest of it this coming summer), but when on my own, I do like the “big picture” approach, especially in terms of putting things into context.

A: Thank you very much!
EHC: My pleasure! Thank YOU so much!

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Un progetto per Cusco: mappatura totale con sistemi GIS!

Stando ad un articolo apparso pochi giorni fa sul magazine d’arte online  Artdaily, il Peru sta pensando di mappare con tecnologie innovative l’intero sottosuolo dell’antica capitale degli Inca, Cusco (vedi il nostro video girato a Cusco nel corso del progetto “Ande 2011”). Lo scopo é quello di recuperare nuovi artefatti o tombe del periodo incaico, e magari tornare al momento della fondazione di Cusco, individuando eventuali parti della città di epoca pre incaica. Pare che serviranno cinque anni e l’appoggio di esperti internazionali per portare a compimento il progetto. In effetti sotto la città odierna si dovrebbe trovare buona parte di quella incaica, con palazzi, residenze reali, canali, ponti e –perché no – tunnel che univano tra loro i templi.
La città peruviana, lo ricordiamo, è stata fondata probabilmente dall’unione di quattro tribu nel periodo che va dal X al XIII secolo. Le costruzioni sono state erette con enormi blocchi di pietra magistralmente incastrati a secco tra di loro. Tanto magistrali sono questi incastri – nonché le particolarità ingeneristiche, come l0inclinazione minima delle murature alla base di ogni palazzo – che la città Inca non è mai stata distrutta dai violenti terremoti che colpiscono la zona, a differenza delle costruzioni spagnole! E mentre eravamo ospiti di alcuni amici a Cusco – nel 2011 – un locale abitante ricordava come in gioventù, circa 30 anni, si trovava con gli amici per esplorare i numerosi tunnel che i bambini conoscevano! Non hanno mai avuto il coraggio di percorrerli fino in fondo…
Una delle zone che potrebbero dare più soddisfazione all’applicazione di tecnologie di survey non invasiva, è la zona di Kotacalle, che sembra fosse uno dei quartieri generali della nobiltà Inca. Staremo a vedere chi e come interverrà a Cusco.

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Voltumna appare a Orvieto: il Dio degli Etruschi ha un viso

Immagine tratta da AdnKronos

La notizia è di pochi giorni fa e viene battuta da agenzie di stampa come adnkronos (ecco il link alla news del 20 novembrel)
A Orvieto da tempo gli archeologi sostengono di aver individuato l’area dal Fanum Voltumnaes, il santuario federale degli Etruschi (che appunto erano una federazione di città stato e governate da re-sacerdoti che qui si ritrovavano per ritualità e politica comune). Nonostante abbiamo modo di credere che questa rea debba trovarsi nei pressi del lago di Bolsena, è certamente intrigante sapere che recentemente gli scavi diretti dall’archeologa Simonetta Stopponi dell’Università di Perugia, hanno permesso di portare alla luce un reperto comunque eccezionale. Parliamo del ritrovamento di un tempio di grandi dimensioni (ben 12 metri per 18), una strada sacra (ovvero quella destinata alle processioni sacre) e una testa maschile in terracotta (in origine policroma), a grandezza naturale. Gli archeologi lo identificano con Voltumna, divinità suprema del pantheon etrusco, che aveva un genere indefinito. Poteva essere Vertumno, ma anche chiamarsi Voltumna, essere maschio o femmina, in ogni caso una divinità del cambiamento “che volge” e “che fa volgere”, favorendo le trasformazioni e le creazioni. Una divinità segreta le cui incisioni simboliche si trovano nelle vie sacre o vie cave dell’area della maremma collinare. Speriamo di avere a breve nuove informazioni su questi scavi.
Ringraziamo l’amico e fumettista Pugacioff per la segnalazione.

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1177 a.C. Il collasso della civiltà – Finalmente in italiano un libro di Eric H. Cline

La copertina di 1177 a.C.

Ha vinto tre volte il premio come miglior libro della divulgazione archeologica (istituito dal Biblical Archaeology Institute), eppure mai prima d’ora era stato tradotto in italiano un suo testo. Parliamo di Eric H. Cline, Professore di Antropologia e direttore del Capitol Archaeological Institute della George Washington University (Columbia), da trent’anni a capo di spedizioni archeologiche nel mediterraneo ed esploratore del National Geogprahic.
Il suo ultimo testo, “1177 BC: The Year Civilization Collapsed”, stampato dalla Princeton University Press quest’anno, è stato nominato al Premio Pulitzer. E la Bollati Boringhieri lo ha portato in Italia, traducendolo in un testo di 224 pagine.
Non potevamo non segnalarvelo. Siamo onesti: lo abbiamo acquistato oggi e ci apprestiamo a divorarlo, ma le promesse sono buone. Cercheremo di affiancarlo agli ottimi testi del prof De Palma, e vediamo qual è il quadro che ne emerge.
Leggendo recensioni online e la quarta di copertina, il testo promette di introdurre in maniera avvincente a quel fatidico anno, il 1177 a.c., appunto, quando molti avvenimenti, come nodi della storia, sono giunti al pettine e hanno determinato la rivoluzione che ha determinato il nostro mondo fino alla rivoluzione industriale.
Un saggio in cui i “Popoli del Mare” sono protagonisti insieme ai grandi imperi che crollarono, più o meno, tutti allo stesso istante: dagli Egizi, agli Ittiti, passando per i Minoici. In quel momento, costellato da disastri ambientali e climatici, arrivo di nuove popolazioni e conseguenti migrazioni di massa, ci fu il caos. Il nuovo ordine si svelerà solo dopo qualche secolo e avrà il nome di Etruschi prima, Greci e Romani poi.
Facciamo così: lo leggiamo tutti insieme e chi vuole darci la propria impressione ci scriva!
Nel frattempo, come sempre in questi casi, proveremo a metterci in contatto con l’autore per una breve intervista per Arkeomount!

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