A Machu Picchu scoperta una nuova parte della Strada Imperiale Inca

Riportiamo una notizia dell’agenzia Andina (questo il link per la news sul sito PeruThisWeek) che annuncia la scoperta in Peru di un nuovo tratto del Qapap Ñan, la Strada Imperiale degli Inca. Sono solo 500 i metri ritrovati pochi giorni fa, ma hanno un’enorme importanza in quanto rappresentano una delle diramazioni che conduceva a Machu Picchu e, per di più, ha consentito di individuare anche un breve tunnel di cinque metri, anch’esso di epoca incaica La strada inizia a Wayraqtambo e gli archeologi la stanno ancora liberando da buona parte della vegetazione che la nasconde alla vista. Queste le parole di Fernando Astete, direttore del sito archeologico di Machu Picchu che abbiamo intervistato nel 2011 nel nostro reportage dal Sud America (questo il link con un nostro video dal sito): “Questa strada dovrebbe essere restaurata in breve tempo, perché il suo valore in termini di patrimonio culturale è molto alto”. “La strada – continua Astete nel comunicato di Andina – offre un’impressionante vista dell’area del villaggio di Machu Picchu da un angolazione insolita rispetto a quella cui siamo abituati a vederlo e potrebbe anche aiutare a decongestionare il flusso turistico al sito”.
Anche il tunnel è intatto e pare costruito interamente con i grossi e squadrati blocchi tipici dell’architettura megalitica inca, al punto che Astete lo definisce uno dei migliori esempi di ingegneria inca giunti a noi.

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Scoperta tra le dune egiziane da un turista, un’incisione neolitica svela gli spostamenti nel Nord Africa

Una barca incisa nell'Oasi di Farafra

Era il 2010 quando un turista di passaggio dalla località egiziana di Wadi el Obeiyid, a nord dell’oasi di Farafra Oasis, ha visto delle incisioni ancora non riportate da organi ufficiali: una giraffa, un bovide, due barche e i contorni di una mano umana. Diligentemente ha segnalato le incisioni su roccia alle autorità, ma i disordini egiziani hanno tenuto lontano a lungo i ricercatori dalla zona. Il mese scorso l’archeologo Giulio Lucarini della prestigiosa Cambridge University ha potuto esaminare la roccia e ritiene le incisioni fondamentali per confermare quanto la zona ovest del nord-Africa sia stata importante in tempi neolitici (circa il 6-7.000 BP). Quella fu la zona in cui si formò la base del nascente impero faraonico. Il nord-ovest dell’Africa era infatti una zona lussureggiante e ricca di risorse.
Lucarini, che studia il momento storico in cui la domesticazione di piante ed animali arrivò dal Levante in Egitto, ha dichiarato che “Questo sito è importante in quanto rappresentazioni di barche nel deserto occidentale egiziano sono rare a confronto con le numerose ritrovate nella sua zona orientale, tra la valle del Nilo e il Mar Rosso. Qui a Farafra potrebbero essere state incise da persone che si muovevano per lunghe distanze, provenienti proprio dal Nilo o dal mar rosso. Infatti, qui non abbiamo ancora trovato resti di giraffe così, al pari di quelle di barche, queste incisioni possono rappresentare non un elemento locale, bensì essere testimonianza di qualcosa visto altrove e considerato esotico”.
I siti di arte rupestre di Farafra sono distanti 600 km dal Mar Rosso, 300 km dal Nilo e circa 400 km dal Mediterraneo. Il team di Lucarini scava qui dal 1987 grazie al permesso del Ministero delle Antichità egiziane per ricercare in circa 10mila metri quadrati di deserto: “usiamo molto le immagini satellitari – continua Lucarini – che ci consentono di identificare le risorse di acqua del passato e, di conseguenza, possibili insediamenti umani. Dopo questa fase passiamo a un classico survey a piedi cercando tracce di bacini lacustri dell’antico passaggio stagionale, dove potevano vivere gli antichi abitanti”.

L’articolo e le dichiarazioni di Lucarini sono prese dal pezzo pubblicato sul sito di Cambridge a questo link.

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Scavi nel deserto: proseguirà l’attività dell’Università di Trento in Tunisia

 

Dougga_Immagine tratta dal sito Teboursouk.com

Come riportato da ANSAmed l’Università di Trento ha rinnovato la convenzione con l’Istituto Patrimonio Tunisino  per proseguire le sue attività di scavo nel sito di Téboursouk.
L’annuncio è stato dato nei giorni scorsi dopo la pubblicazione di due monografie a testimonianza dell’ultradecennale attività di scavo e ricerca che l’istituto trentino svolge a Dougga e Téboursouk (dal 1994 al 2013). L’obiettivo è completare la carta archeologica di Téboursouk per la quale mancano gli scavi di cinque piccoli centri urbani (per un totale di 780 siti scoperti in questi anni) e la conseguente creazione del parco naturale di Dougga. Gli scavi saranno seguiti ancora dalla professoressa Mariette De Vos Raaijmakers, ordinario di Archeologia classica a Trento.
Téboursouk è a 120 chilometri dall’antica Cartagine (e 100 chilometri dall’odierna Tunisi) e il sito archeologico è di ben 80 ettari. Dougga, Thugga in Latino, è stato classificato Patrimonio Mondiale UNESCO nel 1997 e il suo anfiteatro di epoca romana (utilizzato anche oggi per il Festival international de Dougga) conta ben 3.500 posti a sedere .
L’origine del nome Teboursouk ha due ipotesi: dal romano Thibursicum Bure che si rifà al commercio delle pelli e del bestiame oppure dal termine berbero/numide Theber souk, che starebbe per “mercato dell’oro”. Fu comunque fondata dai Numidi sul finire del IV secolo aC e conquistata dai romani nel 46 a.C.
Gli scavi Trentini hanno portato alla luce una copia della legge dell’imperatore Adriano vicino a Téboursouk e un cippo di confine del 34 a.C. della proprietà di T. Statilio Tauro, generale di Ottaviano (in seguito Augusto). Dopo l’epoca post romana, fu territorio bizantino (dal 573 d.C.) e ancora ne conserva la cinta di mura di forma pentagonale. Gli Arabi nel VII secolo la fecero loro con il nome di Tabursuq. La moschea del XVI secolo p ancora parte dell’abitato moderno in stile architettonico arabo – andaluso.
Fonte ANSAmed

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A Bergamo un ciclo di incontri sull’archeologia subacquea

Sempre più persone ci chiedono come avvicinarci al mondo dell’archeologia delle terre estreme e così eccoci a segnalarvi “Archeologia sotto il pelo dell’acqua”, un ciclo di cinque incontri organizzato  dal Civico Museo Archeologico di Bergamo dedicato all’Archeologia subacquea. La prima lezione è il 10 maggio 2014 e, come tutte le altre, si terrà nella Sala Curò di Piazza Cittadella. Docente la dott.ssa Chiara Rossi della Scuola di Specializzazione in Archeologia Subacquea e dei Paesaggi Costieri dell’Università degli Studi di Sassari. Gli incontri sono sia formativi sia di discussione per inquadrare  questo affascinante ramo della ricerca archeologica.
Ad ogni appuntamento verranno proposti temi di carattere storico, come il rapporto dell’uomo antico con il
mare, commerci e navigazione nel mondo romano, ma anche nozioni più tecniche relative ai diversi contesti di ritrovamento, le tipologie di giacimento che l’archeologo subacqueo può incontrare nelle sue ricerche e che sempre più spesso hanno inizio dalla denuncia di subacquei sportivi. Saranno quindi illustrati quali siano i comportamenti da osservare nel caso di ritrovamenti o visite a siti archeologici, che oggi offrono l’opportunità di percorsi turistici. Alla fine di questo percorso ogni partecipante potrà immediatamente mettere alla prova le conoscenze acquisite con una gita subacquea al parco archeologico sommerso di Baia (NA).
Calendario del corso:
10/05/2014 Il rapporto dell’uomo antico con l’acqua e lo sviluppo della disciplina
17/05/2014 I tipi di giacimento subacqueo e i comportamenti in caso di ritrovamento
24/05/2014 Come opera l’archeologo sott’acqua. Metodologie – strumenti – tecniche
31/05/2014 Il mondo marittimo in età romana: porti, navi, traffici
7/06/2014 I percorsi archeologici subacquei: un nuovo tipo di turismo subacqueo.
Per info e iscrizioni contattate il Civico Museo Archeologico di Bergamo (p.zza Cittadella 9) al tel. 035.286070 oppure scrivendo a archeodidattica@comune.bg.it oppure a  crossi.archeo@gmail.com
Quota di iscrizione: 50 euro.

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Choquequirao: da città sperduta a emblema del turismo di massa? Ovvero, come NON fare turismo con l’archeologia di montagna

Da anni ci interessiamo all’archeologia e crediamo che chi ci legge sia mosso dagli stessi interessi collaterali, ovvero il viaggio verso siti di interesse archeologico, storico, musei, laboratori.. sempre con l’obiettivo di arricchirci in termini di esperienza umana e conoscenza. Per questo motivo dedichiamo un post ad un dibattito che seguiamo da tempo, direi dal 2011, grazie alle informazioni che alcuni amici americani ci recapitano puntualmente.
Al centro di tutto sta Choquequirao, una delle “città perdute degli Inca”, posta a poche miglia ( in linea d’aria e “di foresta”) dalla più famosa Machu Picchu.
Stiamo parlando di un sito meraviglioso, immerso nell’atmosfera della foresta peruviana, raggiungibile solo con un trekking e le cui vestigia ci hanno permesso di sapere tantissimi particolari sulle conoscenze incaiche, sulle relazioni tra architettura e astronomia, società e religione, organizzazione, ecc. Un sito che, a partire dagli anni 2000-2010 ha iniziato ad apparire nei programmi di viaggio di alcune agenzie viaggio, soprattutto in quelle specializzate in trekking.
Nel frattempo é accaduto che l’UNESCO abbia richiesto un limite giornaliero al numero di turisti che possono accedere a Machu Picchu, perché questa sarebbe “in pericolo”, instabile geologicamente. Così, oggi “solo” (e circa…) 2.500 visitatori al giorno possono accedere a Machu Picchu.
Il lungimirante governo peruviano (ma purtroppo non crediamo di dover puntare il dito contro il “sistema peruviano”, quanto contro il sistema contemporaneo) ha dunque pensato che bisognasse “spingere” su Choquequirao, facendone una meta altrettanto di massa! La proposta? Una teleferica (!) che possa spostare 400 turisti all’ora dalla vicina strada fino alla città “sorella” di Machu Picchu.
Al di là che il progetto è invadente in termini ambientali oltre ogni misura, sui media del mondo i due temi stanno procedendo, senza alcun motivo, a braccetto: salvare Machu Picchu grazie al turismo a Choqueqirao.
Un esempio è l’articolo pubblicato a fine agosto dall’illustre International Business Times a firma di Mark Johanson dal titolo: “Può la teleferica di Choquequirao salvare la vicina Machu Picchu dallo sgretolamento dovuto alla massa?”. Ecco il link per il pezzo (titolo originale “Could Tramway To Choquequirao Save Nearby Machu Picchu From Crumbling Amid Growing Crowds?”).

Prima di procedere con il dibattito, vi mostriamo la mostruosa immagine della mostruosa teleferica che è stata realizzata a Copper Canyon (Nord Messico) e che sarà identica a quello di Choquequirao:

Immagine tratta da www.ITSInternational.com

Immagine tratta da www.ITSInternational.com

L’agenzia peruviana di investimenti ProInversión ha infatti decretato che la vincente del bando per la costruzione di ben 23 (!) funivie nel paese, di cui la prima a Choque, sarà costruita dal consorzio “Pricewaterhouse Coopers and Ingerop Conseil Ingenieri”. La teleferica delle foto é stata costruita, manco a dirlo, su un sito archeologico: giusto al di sotto vi sono grotte del periodo Mogollon. La teleferica peruviana correrà per 5,4 km da Kiuñalla fino a Choquequirao, attraversando il canyon del fiume Apurímac e consentendo a 400 persone all’ora di giungere a destinazione in soli 15 minuti. Verrà ultimata in un solo anno..

Ora veniamo alla risposta da dare ai media, diciamo pure all’articolo dell’ International Business Times. Per farlo ci avvaliamo delle considerazioni dell’amico Gary ZIegler, archeologo che ha dedicato decenni allo studio di Choquequrao (qui l’intervista a noi concessa dopo l’uscita del suo ultimo libro “Machu Picchu’s Sacred Sisters: Choquequirao & Llactapata”).

Ecco tre punti da cui partire:

1-    La teleferica di Choquequirao non potrà far nulla per ridurre i visitatori di Machu Picchu. Machu Picchu continuerà a ricevere le sue orde di visitatori ogni giorno. La teleferica servirà solo a degradare l’esperienza- al momento unica – di una visita a Choquequirao.
Aggiungiamo noi: come potrebbe essere diversamente? Voi andreste in Peru per visitare Machu Picchu e poi, sapendo di una teleferica, evitereste di salire a Machu Picchu per vedere invece Choqueqirao? No, ovviamente. Probabilmente decidereste di andare a visitare ANCHE Choqueqirao. E- aggiungiamo – a questo punto sarete migliaia ANCHE a Choquequirao

2-    Sembra che ora ogni Tour operator stia cercando di spennare i più sprovveduti per l’effetto Carpe Diem. Solo un maratoneta i farebbe il trek di sei giorni indicato da un operatore a questo link su you tube e senza trascorrere alcun tempo a Choquequirao! Ecco il programma:

Six-Day Hike to Choquequirao & Machu Picchu, Peru: The hike to Choquequirao & Machu Picchu is known as one of the alternate Inca trails. This trek is more strenuous and way more scenic and beautiful then the Classic Inca trail. In the video:
Day 1 – Cachora to Chiccisqa
Day 2 – Chiccisqa, Rio Apurimac, Santa Rosa, Maranpata, Choquequirao
Day 3 – Choquequirao , Pinchinuyoc, Rio Blanco, Maizal
Day 4 – Maizal, Mina Victoria, Abra Victoria (Abra San Juan), Yanama
Day 5 – Yanama, Totora, Colpapampa
Day 6 – Hydroelectric – Aguas Calientes

3-    Le imprecisioni dei media sono sempre molte e troviamo buona cosa segnalarle, sempre: nell’articolo indicato a firma di Mark Johanson si dice che Choquequirao era l’ultimo rifugio dei regnanti Inca, ma non fu così. Si dice che “è coperta al 70% da vegetazione”, ma non é così. Si dice che Machu Picchu si stia sbriciolando sotto i turisti, ma non é così…

Semplicemente una visita a Machu Picchu in stagione alta è come una corsa su un treno a Tokyo in ora di punta…e altrettanto semplicemente presto sarà così anche a Choquequirao..

Ci uniamo al disappunto di Gary Ziegler quando ci scrive “it is sadly, the death knell of one of the last of the pristine, most scared  Inca accomplishments still remaining undefiled by modern commercialism” e che “It probably doesn’t matter as the last Incas fled there centuries ago. Any residual spiritual heritage left behind will quickly take leave when the tele circus arrives”.

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Archaeology in downtown: interview to Julie Labate, digging in New York (Manhattan)

Courtesy of Geoarcheology Research Associates, NYC

Archaeology in the cities. Different. It is high time for Arkeomount’s reader to know more about an archaeology dig in the middle of a modern town. We were waiting for an international scenario and last month’s news suggested us to get in touch with Julie Labate, archaeologist at Geoarcheology Research Associates, in New York (www.gra-geoarch.com ). Julie kindly accepted our invitation to this interview.

Last month in Miami a new dig revealed a major prehistoric Native American at a downtown site (i.e. FoxNews) and since a couple of years an interesting work is going on on the west bank of Manhattan, in New York.

1)      Julie, in 2005 you worked for The Archaeological and Historical Conservancy when they were excavating in Miami at Met 1 and the Flagler Hotel. May you please remind us what happened there? Why did you start to dig and what did you find? Are these 2005 researches related to the new ones?
Julie Labate (JL): “When I joined AHC in 2005, the Met 1 project (which included in the Flagler Hotel) was underway for a couple of years at that point. As this was one of my first archaeological positions, I was excited and anxious to learn about the “corporate” side of American archaeology, known as Cultural Resource Management (CRM). I remember working along side backhoe operators, attempting to record as much information as possible about the Flagler Hotel and Tequesta remains underneath. As a historic archaeologist, I was very much interested in the Flagler hotel excavation as this was one of the first hotels in Miami. Built in 1897 by entrepreneur Henry Flagler, the hotel was later condemned and razed in 1930. As we excavated, we recovered remnants of the electric light fixtures (first in a hotel in Miami) and hotel keys.
Underneath the hotel were the remains of a portion of the Tequesta village, though badly disturbed from the construction of the hotel. The findings in 2005 were important because these earlier excavations led to the discovery of the intact Tequesta Village site just recently found”.

2)      Now you are working as archaeologist at Geoarcheology Research Associates, in New York and you are just finishing up an excavation on the Upper West Side of Manhattan. Can you tell us more about it? What did you find there?
JL: “Similar to the excavations in Miami, this excavation began due to the development of a condominium on the Upper West Side. We worked along side developers from Tishman Construction and were successfully able to recover artifacts from a late nineteenth-century secondary refuse deposit. Geoarcheology Research Associates was able to recover whole plates, cups, leather shoes, spectacles as well as items as small as marbles, dolls, coins and straight pins. This refuse presumable was used to fill up the land along the Hudson River in order to create more area for development in Manhattan”.

3)      As usual, in Arkeomount we try to le tour reader figure out how archaeological researches are run in unusual places (as deserts, mountains and so on). Could you tell us more about how do you work in New York City? Which methods and tools can you use? And which ones are you unable to use?
JL: “Working in New York City, we relied heavily on mechanical tools to excavate. Backhoes and mechanical excavators were employed to remove large amounts of the deposits. This is a common practice in American cultural resource management”.

4)      Which devices and expedients do you have to carry out to dig in Manhattan?
JL:”In addition to the mechanical excavators, typical archaeological tools were used, such as a total station as well as hand digging in order to collect a sample of artifacts in different areas”.

5)      Where will the findings  be placed within Manhattan? are you (or any institution) planning a place in a museum or a public show?
JL: “Ultimately, the collections belongs to the developer; however, typically we will house the artifacts in a repository. Some of the more “interesting” pieces are planned to be displayed in a school that is being built on the property”.

6)      We find your blog (http://trowelpoints.wordpress.com/) really interesting as it shows how to communicate something which is not always easily communicable: there are weekly games and funny photos. How important is communication? Are Americans interested in archaeology?
“We here at Geoarcheology Research Associates, believe public outreach is important. The blog, as well as our involvement with other social medias (i.e. Facebook, Twitter, Instagram) help in reaching out to people who may or may not know about archaeology. We also host a weekly radio show, “Indiana Jones: Myth, Reality and 21st Century Archaeology” on VoiceAmerica. This show, well as all of our public outreach efforts, targets audiences interested in archaeology or those who may want to learn more”.

7)      Finally, can you tell us something about next tasks and/or diggings scheduled at Geoarcheology Research Associates?
JL:”Right now, we are in the process of finishing up the excavations on the Upper West Side. In the immediate future, we will be working with a wastewater treatment service company in New Jersey, Somerset Raritan Valley Sewerage Authority. Afterwards, we hope to expand into the international market. Next stop, Italy?”

Thnak you Julie!

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Da oggi VIII International Symposium on Underwater Research a Procida

La locandina del simposio

Iniziano oggi 26 marzo sull’isola di Procida presso la sede della Scuola per l’Alta Formazione dell’Università di Napoli “L’Orientale” i lavori dell’VIII edizione dell’ISUR-International Symposium on Underwater Research, convegno interdisciplinare dedicato alla conoscenza del mondo sommerso e del patrimonio subacqueo attraverso la ricerca scientifica, tanto nel campo archeologico, quanto nelle aree delle discipline geologiche e biologiche, mediche e giuridiche. L’evento, che per la prima volta fa tappa in Italia, è organizzato dall’Università di Napoli “L’Orientale” insieme con GAMA-General Association for Mediterranean Archaeology, DAN – Divers Alert Network, con il supporto di BETA Analytics-Radiocarbon dating, Gruppo S.A.M. s.r.l. e  Centro Sub Campi Flegrei. Gli incontri tra gli esperti, programmati fino a sabato 29, si terranno presso i locali della Scuola per l’Alta Formazione di Terra Murata.
L’anno scorso l’appuntamento annuale si tenne a Wroclaw-Polonia, due anni fa ad Antalya). Attesi relatori e uditori da Italia, Spagna, Portogallo, Turchia, Polonia, Russia per un’iniziativa che porta a compimento un percorso di collaborazione che ha visto, negli anni, ricercatori e studenti dell’Orientale partecipare a lavori di archeologia marittima in Italia e all’estero, dal Mediterraneo al Mar Rosso. Una sessione speciale del convegno sarà dedicata, infatti, proprio ai risultati delle campagne di ricognizione subacquea svolti nel Golfo di Antalya dalla Selçuk University di Konya, cui ha preso parte, a partire dal 2011, un piccolo team dell’Orientale, guidato da Michele Stefanile (responsabile del Laboratorio di Archeologia Subacquea istituito presso il Dipartimento Asia Africa Mediterraneo).
Nel corso dei saluti inaugurali, che vedranno la partecipazione del Pro-Rettore vicario Giuseppe Cataldi (che terrà anche la conferenza di apertura), del sottosegretario alle Infrastrutture Umberto Del Basso De Caro, del coordinatore per l’UNESCO Unitwin for underwater archaeology Hakan Öniz, gli archeologi subacquei dell’Orientale Chiara Zazzaro e Michele Stefanile avranno modo di presentare risultati e progetti delle proprie attività. Le sessioni successive, poi, consentiranno al pubblico di ricercatori e semplici appassionati di conoscere gli ultimi lavori e sviluppi nel campo dell’archeologia subacquea italiana e mediterranea, le nuove tecnologie in corso di sperimentazione, i risultati delle collaborazioni con il mondo della geologia e della biologia, le ultime tendenze nella gestione del patrimonio sommerso, con esempi di grande interesse dal Parco di Baia, e nel settore della sicurezza in immersione. Durante il convegno sarà anche inaugurata la mostra fotografica a cura di Marco Molino, giornalista ed esperto di tematiche marittime, “L’Onda di Pietra -The Wave of Stone”, dedicata a porti e approdi del Mediterraneo. Al termine dei lavori, tempo permettendo, i convegnisti avranno la possibilità di immergersi fra le rovine sommerse dei Campi Flegrei, apprezzando i traguardi raggiunti nel campo della musealizzazione subacquea.

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Sepoltura Pre-Inca ritrovata a Cusco: chi erano i Markavalle?

 

Foto ANDINA/Percy Hurtado Santillan

E’ dello scorso 8 marzo la notizia che una tomba di 3.000 anni fa è stata portata alla luce a Cusco, (3200 metri s.l.m. tra le Ande peruviane), grazie agli scavi concessi all’interno di un centro giovanile.
I resti contenuti nella tomba appartengono a quattro individui (due adulti, un bimbo e un adolescente) della cultura preincaica di Markavalle, del 1000 a.C.
Per la prima volta questa vengono alla luce resti non umani della cultura di Markavalle, come strumenti in ossidiana, ossa di camelidi, frammenti ceramici (grazie ai quali é stata possibile l’attribuzione culturale), collane e ornamenti.

Ma chi erano i Markavalle?

I Markavalle vissero nella regione del Dipartimento di Cuzco, 1.000 anni prima di Cristo, occupando i piani ecologici di Puna e Qeshwa nelle province di Anta, Quispicanchis, Urubamba, Espinar e Chumbivilcas. Proprio loro stabilirono i primi ayllus (comunità) di Cusco. I Markavalle erano pastori di camelidi nelle zone alte (la Puna) ed erano agricoltori nelle zone più basse e temperate (Qeshwa).
Le prime ricerche che ci parlano dei Makavalle nascono da scavi effettuati tre chilometri a sud della città di Cusco, a lato della Avenida de la Cultura, nel distretto di San Sebastián, il cui settore è proprio detto di Markavalle. L’istituto giovanile oggetto degli scavi di pochi giorni fa è lo stesso dove nel 1964 emersero le prime notizie di questa popolazione grazie agli sforzi del dipartimento di Antropología de la Universidad Nacional San Antonio Abad del Cuzco e della studiosa americana Patricia Lyon.
Si scoprirono frammenti di ceramica e carbone vegetale, oltre a resti umani. Lo studioso Manuel Chavez Ballón diede il nome di Markavalle alla ceramica che scoprì già nel 1953 proprio in questo settore della città, dando il nome di  Markavalle a tutto il terreno circostante. Fu poi la studiosa americana Karen Mohr che scavò la zona e con luso del Carbonio 14 determinò la datazione assoluta dei Markavalle.
Ora ci si aspetta di sapere qualcosa di più delle abitudini di questa popolazione che, essendo del periodo Formativo, può dire molto di quel periodo più oscuro antecedente la nascita degli Inca, quando l’impero di Wari stava consumandosi insieme a quello di Tiawanacu e ancora ci si chiede da dove venne la spinta sociale per la nascita degli Incas. Sappiamo per certo che nacquero dall’unione di più popolazioni che si erano insediate a Cusco e che avevano acquisito capacità e maestria in diverse funzioni. I Markavalle erano tra questi? erano tra i “fondatori” degli Inca?

Fonte news Andina

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Ambiente, terra e civiltà nella Pianura Padana dell’Età del Bronzo – convegno 9 e 10 maggio 2014 – call for papers

 

Immagine dagli scavi

Usciamo un po’ dal nostro seminato di archeologia delle terre impervie per “ricadere” in pianura con un convegno che si preannuncia comunque interessante per le molti implicazioni.
“Ambiente, terra e civiltà nella Pianura Padana dell’Età del Bronzo – Convegno per i trent’anni di ricerche nella Terramara Santa Rosa di Poviglio, tra ricerca scientifica e valorizzazione” si terrà a Poviglio (RE), al Centro Kaleidos, il prossimo 9 e 10 Maggio 2014.
Sono due giornate di studi archeologici e geoarcheologici organizzate dalla Soprintendenza per i Beni
Archeologici dell’Emilia-Romagna, dal Dipartimento di Scienze della Terra ‘A. Desio’ dell’Università degli Studi di Milano e dal Comune di Poviglio, con il supporto di Coopsette ed Archeosistemi. L’incontro vede il patrocinio dell’ Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria (IIPP), dell’Associazione Italiana di Geografia Fisica e Geomorfologia (AIGeo) e del  Gruppo di Palinologia della Società Botanica Italiana. Prima di riportare i temi e il programma di massima, anticipiamo che sul finire del nostro pezzo troverete i riferimenti per chi tra i lettori fosse interessato a sottoporre un paper per l’incontro.
Le due giornate di convegno si propongono di fare il punto su trent’anni di indagini nella Terramara S. Rosa di Poviglio e sui possibili sviluppi futuri del progetto. I temi che saranno dibattuti riguarderanno il contributo offerto dagli scavi alla conoscenza del coraggioso ma sfortunato progetto di gestione territoriale espresso dalla civiltà terramaricola, al contesto ambientale e alla struttura sociale che a tale progetto erano sottesi. Verranno inoltre dibattute le prospettive divalorizzazione del sito e dell’immenso patrimonio archeologico raccolto in trent’anni di campagne archeologiche e conservato nel Museo della Terramara di Poviglio.
L’incontro sarà articolato in tre sessioni scientifiche, coordinate dai direttori dello scavo e da archeologi e ricercatori delle differenti discipline geologiche e naturalistiche che, fino ad oggi, hanno contribuito alle indagini ed è rivolto non solo agli specialisti, ma ad un più ampio pubblico. Le sessioni saranno dedicate ai vari aspetti della ricerca archeologica e scientifica in corso presso la Terramara di Poviglio; sarà inoltre discusso l’importante tema della valorizzazione dei contesti archeologici ed i problemi ad esso inerenti. È anche previsto che i partecipanti contribuiscano con le proprie ricerche attraverso posters o comunicazioni orali. Accompagneranno i lavori alcune conferenze di noti studiosi, che contribuiranno a fare il punto della situazione sugli argomenti sviluppati nel corso della manifestazione.

Programma preliminare
9 maggio 2014
9.00-9.30 – Accoglienza e registrazione presso il Centro Kaleidos
9.30-10.00 – Saluti delle Autorità: Sindaco di Poviglio, Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna
10.00-10.20 – M. Bernabò Brea e M. Cremaschi: Trent’anni di scavi nella Terramara di Santa Rosa di Poviglio.
10.20-13.00 – I sessione: Il Villaggio, l’ambiente e la gestione territoriale M. Cremaschi, A.M. Mercuri, M. Giudici, M. Rottoli, M. Marchesini, E. Maini.
13.00-14.00 – Pausa pranzo
14.00-16.00 – II sessione: Il Villaggio, le produzioni
M. Bernabò Brea, M. Cremaschi, A. Mutti, C. Pizzi, N. Provenzano.
16.00-16.15 – Pausa caffè
16.15-17.45 – Conferenze (A.M. Mercuri: Ambiente e coltivazioni nel mondo delle terramare; G.Leonardi: I Micenei nell’Alto Adriatico)
17.45-19.15 – Sessione con interventi liberi sul tema: Ambiente e civiltà nell’età del Bronzo in Italia.

10 maggio 2014
9.30-11.30 – III sessione: Valorizzazione dei siti preistorici, esempi dal Progetto Palafitte e dal Montale; la Terramara di Poviglio nella realtà locale F.M. Gambari, F. Marzatico, A. Mutti, C. Zanasi
11.30 -12.45 – Conferenze (A. Cardarelli: Il collasso della civiltà terramaricola; R. De Marinis: La metallurgia nell’età del Bronzo)
12.45-14.00 – Buffet e visita alla sessione posters
14.00-16.00 – Sessione con interventi liberi sul tema: Ambiente e civiltà nell’età del Bronzo in Italia.

Il Museo della Terramara sarà aperto al pubblico durante l’intera durata del convegno; saranno organizzate visite guidate su richiesta alla fine delle sessioni. Per contattare la segreteria del convegno rivolgersi a Andrea Zerboni (Università degli Studi di Milano): andrea.zerboni@unimi.it oppure a Carla Panella (Comune di Poviglio): 0522/966817; c.panella@comune.poviglio.re.it
E’ possibile inviare e sottoporre dei contributi entro il 1 aprile 2014, richiedendo il modello alla segreteria.
I testi verranno raccolti e distribuiti a tutti i partecipanti e messi in rete sul sito dello scavo (http://users.unimi.it/geoarch/). I contributi potranno essere presentati come posters (le dimensioni dei supporti verranno indicate nella seconda circolare) o come brevi comunicazioni orali che si collocheranno, in base ai contenuti, nelle tre sessioni tematiche oppure in quelle dedicate agli
interventi liberi. Gli interventi dovranno essere focalizzati sul tema Ambiente e civiltà nell’età del Bronzo nella penisola italiana. Si incoraggia a presentare recenti studi, ricerche e casi di studio che implichino anche l’utilizzo di metodologie scientifiche interdisciplinari all’archeologia (geoarcheologia, archeobotanica, palinologia, zooarcheologia, archeometria); particolare attenzione
verrà posta alle scoperte derivanti da operazioni di archeologia preventiva e di emergenza, nonché ad iniziative realizzate e/o progettate nel campo della valorizzazione dei beni culturali archeologici.

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“Frozen Stories” apre a Bolzano – Intervista video ai curatori per la mostra che svela l’archeologia dei ghiacci alpini

Rimarrà aperta fino al 22 febbraio 2015 la nuova mostra temporanea del Museo Archeologico dell’Alto Adige a Bolzano, dal titolo “Frozen Stories – Reperti e storie dai ghiacciai alpini”. Eravamo all’inaugurazione e abbiamo intervistato l’archeologo Andreas Putzer, curatore della mostra insieme al collega Hubert Steiner.
Per incontrarlo saliamo al terzo piano del Museo che raccoglie il corpo e gli studi sul più importante reperto restituito dai ghiacci alpini ad oggi, ovvero il famoso cacciatore Oetzi, che possiamo ammirare al primo piano del museo.
Obiettivo della mostra è mostrare come il cambiamento climatico abbia conseguenze anche archeologiche. Lo sciogliersi dei ghiacci porta alla luce oggetti e reperti rimasti nascosti per lungo tempo nei ghiacciai. Da questo punto di vista Ötzi non è il solo caso fortunato degli ultimi decenni: molti altri reperti sono emersi dal ghiaccio e ci raccontano storie del passato. E con ogni nuovo ritrovamento si pone la domanda: cosa spinse gli esseri umani ad andare sui ghiacciai nel corso dei secoli?
“Abbiamo voluto mostrare innanzitutto cosa sia un ghiacciaio e come si forma – esordiscono i curatori – concentrandoci sui cambiamenti climatici degli ultimi 800.000 anni”. Aiuta un pannello multimediale che capeggia al centro della sala espositiva dove il visitatore può visionare la disposizione dei ghiacci in Europa negli ultimi millenni. “Il lavoro dell’archeologo cambia a queste altitudini e in queste condizioni – prosegue l’arch. Putzer – e per questo mostriamo gli attrezzi del mestiere (come il getto di vapore, ndr) prima dei reperti”.

 

Archeologo Andreas Putzer

Tra questi i più antichi risalgono a oltre 5mila anni fa, come un fantastico arco in legno perfettamente conservato o delle ghette del periodo romano, o ancora dei gambali dell’età del Ferro. In un angolo è ricostruito il sito di Oetzi immaginando che non fosse stato protetto dal ghiaccio: buona parte dei più preziosi reperti che oggi stanno svelando molto della vita preistorica non sarebbe giunta fino a noi. “Anche queste parti di capanne del Paleolitico – ci indica Putzer – o questa gancio per cintura interamente in legno e risalente all’epoca del Bronzo, non sarebbero potute arrivare a noi”.

 

Apparecchio a getto di vapore

In mostra oggetti fino all’epoca dell’ultima guerra mondiale, ritrovati tra i ghiacci di Italia, Austria e Svizzera, ma anche e soprattutto le storie di chi questi oggetti ha conosciuto (come un reduce di guerra) o addirittura scovato, segnalandole poi alla Soprintendenza per un corretto studio e recupero scientifico. Questa parte ci è piaciuta molto perché spesso i veri scopritori non sono gli archeologi ma gli escursionisti. Dar loro il giusto riconoscimento e spazio è un modo per incoraggiare gli escursionisti stessi a non tenere per sé i ritrovamenti o addirittura rimuoverli, ma –appunto – a segnalarli alle autorità competenti. Senza di loro questa mostra non ci sarebbe stata!

 

Gancio di cintura in legno- Età del Bronzo

La sala espositiva

Multimedialità

Ricostruzione sito di Oetzi senza ghiacci

Oetzi ricostruito nel 2013

 

 

 

 

 

Il percorso è multimediale con animazioni, video e ritrovamenti originali. I dati sono molto attuali e le postazioni di approfondimenti coinvolgenti. La mostra temporanea, organizzata in collaborazione con l’Ufficio Beni archeologici della Provincia autonoma di Bolzano, è compresa nel biglietto del museo ed è visitabile da martedì a domenica dalle 10 alle 18 (luglio, agosto e dicembre aperta anche il lunedì). Per info sulla mostra clicca qui.

Per l’intervista video di Arkeomount vai nel nostro canale youtube o clicca qui:
Frozen Stories – Inaugurazione mostra – Arkeomount- Bolzano 24 feb 2014 – Intervista

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